“Alice e il sindaco”: il capitalismo è il mare

mercoledì 12 febbraio 2020


Fortunatamente al sindaco socialista di Lione – interpretato dall’ottimo attore di origine italiana Fabrice Luchini – viene nel film (Alice e il sindaco diretto da Nicolas Pariser) preclusa la via politica per divenire qualcosa di più, presidente o qualcos’altro a livello nazionale, ed è costretto a fine carica a tornare a casa, solo come un cane, non avendo costruito nella sua vita nient’altro che la propria carriera politica. Rintronato dal vuoto esistenziale rimbombante dalla amministrazione politica, recluta una giovane francese studiosa di letteratura ad Oxford perché lo affianchi ed aiuti ad uscire dallo sperdimento in cui sente di essere sprofondato da molto tempo, quasi l’intera sua trentennale ambiziosa vita politica.

Con la ragazza condivide l’ultimo tratto della sua storia lavorativa e personale, in cui, a conti fatti, il sindaco sente di non avere letto un granché e di avere coltivato la propria ignoranza e nullità umana dandosi completamente alla politica. Ed è proprio la politica che è messa sulla graticola in questo film che arriva dalla Francia e ci parla della Francia ridotta a scavare il fondo del barile per sentirsi socialista e di sinistra e dare all’essere di sinistra un senso, che il protagonista non trova perché nei fatti un senso non c’è. Si rimprovera ai francesi di avere lasciato il lavoro manuale, la vecchia ormai inutilissima tipografia per libri che nessuno più vuole di carta, di non avere costruito imprenditori ma banchieri o finanzieri. Il messaggio è sbagliato perché erronee sono le premesse. Il film sembra auspicare un ritorno ad attività impoverenti con cui mai né il sindaco tantomeno la giovane potrebbero mai essere quello che sono, pur nella finzione ovvero l’amministratore ben stipendiato pubblico di una città benestante, e una studiosa che si aggira in quel che era Europa, il Regno Unito, e che oggi, con Brexit, non è più.

Non è che riducendo tutti a fare i lavori artigianali del socialismo reale che la Francia così come qualsiasi altro Paese vive nel benessere, o meglio. Non è gettandoci tutti in un inutile e dannoso gioco a ribasso, gettando cioè le nostre vite dentro un grande calderone socialista comunista pluricondannato e superato dalla Storia che vivremo meglio. Il capitalismo è cioè la via maestra, mentre il comunismo in tutte le sue forme compreso il socialismo sono al massimo dei piccoli vicoli che si affacciano sulla strada principale, quella della crescita e del benessere che vengono dalla democrazia declinata in senso liberale capitalista. La Francia è oggi rosa alle fondamenta dai figli e nipoti di immigrati molto male integrati, violenti e letteralmente armati contro l’intellighentia comunista e socialista francese di sinistra che pensa che la “cura” sia tornare tutti nelle capanne (la tipografia del compagno della studiosa già disoccupata) invece di guardare immaginare e costruire grattacieli e realtà moderne lanciate nel benessere che solo la via maestra – del capitalismo – possono sperare possa dare loro.


di Francesca Romana Fantetti