Prescrizione, Renzi: “Accordo non ha numeri alle Camere”

Matteo Renzi non ha mai nascosto la propria contrarietà rispetto alla prescrizione voluta da Alfondo Bonafede. Ma ora il leader di Italia viva rischia di provocare la crisi del governo che ha contribuito a fare nascere. “Questo accordo a tre, a mio sommesso avviso, non ha la maggioranza in Parlamento”. Lo dice l’ex premier a Radio Capital, parlando dell’accordo a tre Pd-M5s-Leu sulla prescrizione. A chi gli chiede se Giuseppe Conte potrà trovare 50 centristi pronti a sostenere il governo ribatte: “Io non ho problemi su questo, se lui trova i voti nel mondo della destra io sono contento per loro, un po’ meno per il Paese, ma noi non lo faremo. La mia impressione è che abbiano fatto male i conti, rischiano di fare un pasticcio”.

Renzi esclude un appoggio esterno al governo. “Significherebbe che dovremmo far dimettere i nostri ministri: Teresa Bellanova è la numero uno sull’agricoltura, Elena Bonetti sta lavorando bene, il sottosegretario Ivan Scalfarotto è l’unico che capisce di export. Noi non vogliamo lasciare. Poi se il presidente del Consiglio vuole che lasciamo, ci mettiamo un quarto d’ora. Siamo una forza riformista, non cediamo al populismo nella giustizia. Non ce ne andiamo ma se ci vogliono cacciare, ce lo dicano”.

Poi, Renzi attacca, naturalmente, il partito di cui è stato segretario. “Non riesco a capire perché il Pd non utilizzi la forza del risultato in Emilia-Romagna per dettare l’agenda, ma continui a inseguire quella dei cinque stelle. Se al citofono del Nazareno c’è scritto ‘citofonare Travaglio’ è un mutamento genetico, è il passaggio dal riformismo al giustizialismo”.

Il contrattacco antirenziano arriva dall’ex partito. “Spiace che il senatore Matteo Renzi continui ad attaccare il partito sbagliato – sottolinea il vicecapogruppo del Pd alla Camera dei deputati Michele Bordo – il nostro avversario è la destra di Matteo Salvini. La minaccia di appoggio esterno al Governo è durata qualche ora e questa mattina è stato costretto a fare marcia indietro. Pur di non prendere atto che il ministro Bonafede ha cambiato radicalmente la propria posizione sulla prescrizione, che sarà modificata subito, tornando sostanzialmente alla legge Orlando, insieme alla riforma del processo penale che sarà approvata lunedì in Consiglio dei ministri, il leader di Italia viva preferisce dare patenti di giustizialismo o di garantismo invece di fare proposte ai tavoli di maggioranza. Ieri sera Matteo Renzi ha preferito l’ultimatum al dialogo, come è abituato salvo fare sistematicamente marcia indietro come per le “battaglie” populiste su plastic tax e sugar tax, come per il decreto sulla Popolare di Bari, come per altre vicende in cui ha agitato l’ascia di guerra salvo poi votare con tutta la maggioranza facendo retromarcia”.

Enrico Costa, deputato di Forza Italia e responsabile del Dipartimento Giustizia del movimento azzurro, sostiene che non ci sia “lodo che tenga. Resta il fine processo mai. Bonafede ha piegato il Pd. Tutto il resto sono sterili giochi di parole. I Dem avevano giudicato la riforma Bonafede illiberale ed incostituzionale, l’avevano respinta, avevano chiesto che non entrasse in vigore, avevano presentato una proposta di legge che la sopprimeva: oggi la sdoganano sperando che nessuno se ne accorga. Ci vediamo alla Camera il 24 febbraio”.

Aggiornato il 07 febbraio 2020 alle ore 12:51