Poveri illusi

Hanno appena finito di strombazzare per una vittoria, arrivata forse per alcune scivolate di Matteo Salvini e qualche voto ipocrita dei moderati, ma soprattutto grazie all’intervento del F e dell’armamentario di supporto, che già ricominciano a litigare, poveri illusi. Mai infatti come stavolta il fortino comunista laccato di democrazia ha dovuto dispiegare ogni risorsa e ogni escamotage per respingere un assalto che con più furbizia e migliore strategia sarebbe stato fatale.

Sia come sia anche l’Emilia-Romagna è diventata contendibile, fatto che un tempo avrebbe suscitato ilarità e sorrisi nell’impero falce e martello dove tutto dipende dalla ditta e all’idea di schierarcisi contro si rischiava il domicilio coatto. Eppure neanche sfumati gli effetti dei brindisi di sollievo per una paura che ha fatto 90, nella maggioranza di governo è ricominciata la guerra, la lotta di ultimatum, la resa dei conti del Pd contro i grillini decimati e contro i renziani insofferenti.

Quella di Stefano Bonaccini infatti è stata una vittoria boomerang per l’esecutivo che si ritrova la componente maggioritaria grillina evaporata, quella minoritaria di Matteo Renzi appannata, quella mediana del Pd obbligata a mostrare i muscoli dopo il successo. Per farla breve tre posizioni che ancora più di prima sono contrastanti e in battaglia, chi per sopravvivere, chi per sgomitare e chi per comandare e stabilire la detenzione dello scettro, insomma una baraonda politica tale da gettare nel caos la guida del Paese.

Tanto è vero che a partire dalla prescrizione, dall’annullamento delle concessioni, dal decreto mille proroghe e dai collegati alla Finanziaria è tutto un teatrino disarmante di veti, trappole, minacce di crisi e di ulteriori scissioni. Ecco perché scriviamo poveri illusi, mediocri aedi di un trionfo che non esiste nel paese né tra loro, visto che oggi stanno peggio di prima e con una regione in meno, perché la fanfara sull’Emilia-Romagna è stata alzata per nascondere la catastrofe calabrese dell’alleanza di governo.

Pensate infatti all’ipocrisia di una maggioranza che fino a sabato si sbracciava per sottolineare la dimensione locale del voto e dopo il successo di Bonaccini, cerca di spacciarlo per riscossa nazionale contro il centrodestra e contro l’avanzata di Salvini. Una ipocrisia tanto maggiore perché con la vittoria in Emilia-Romagna tenta di oscurare non solo la disfatta della Calabria ma l’inesistenza acclarata del consenso elettorale per la parte più importante della delegazione di governo, Giuseppe Conte compreso visto che sta lì per volontà grillina.

Ma quando mai nella storia repubblicana si è avuto un premier non eletto e sostenuto da un partito che non c’è più, un presidente del Consiglio indicato dal vapore acqueo e che pontifica e dichiara di essere ancora più forte dopo una batosta da scappare. Ma quando mai nella storia repubblicana si è parlato di verifica nell’esecutivo dopo l’abbattimento del pilastro che lo sostiene, dopo la liquefazione elettorale del partito di maggioranza relativa, suvvia anche in Italia dove pure tutto si è reso possibile, ci sarebbero state le dimissioni non la fanfara.

Il centrodestra avrà anche perso la battaglia sull’Emilia-Romagna, ma se domenica con le stesse proporzioni si fosse votato per le Politiche avrebbe vinto a mani basse a testimonianza che il Paese sta in mano ad abusivi arroccati sull’albero come il Barone di Italo Calvino. Arroccati sull’albero nell’attesa però non di una mongolfiera, perché poveri illusi, a portarli via sarà la sega elettorale degli italiani che seppure allontanata dalle forzature, prima o poi taglierà tronco e radici.

Aggiornato il 29 gennaio 2020 alle ore 10:42