Regionali, perché ha perso Matteo Salvini

Come ogni competizione elettorale le chiavi di lettura sono molteplici. Guai però se così non fosse. Verrebbe a spegnersi il cuore pulsante della politica che è il dibattito che tiene acceso l’interesse degli italiani, non solo degli addetti ai lavori. Le elezioni in Emilia-Romagna erano attese come il giorno del Big Ben e così a posteriori un po’ lo sono state, basta dire che “l’onda” di una terra confinante con il mare è riuscita a raggiungere Roma Capitale e non è cosa di poco conto. Oggi si può dire senza sbagliare che non è stata la vittoria del centrosinistra sul centrodestra, è stata la vittoria dei moderati sui sovranisti.

Il primo tratto saliente è la scomparsa del tripolarismo entrato nel nostro panorama politico con l’avvento dei 5 stelle. Un movimento prettamente populista che nasce dalla “gente comune”, basato più sull’odio verso la casta che sul voler offrire una proposta politica di spessore alternativa ai partiti politici, già esistenti nel nostro Paese. La durata della loro credibilità è rilevabile solo nella loro attività di opposizione. Il tempo di vederli al governo e si sono sciolti come neve al sole. Ciò sta ad evidenziare un fatto: gli italiani sperano in qualcuno che possa portare loro benessere sono propensi alla fiducia iniziale, ma quando alle promesse e alle tante parole non seguono fatti concreti non fanno fatica a volgere le spalle in modo impietoso e irreversibile.

Quello che sembrava in Italia essere oramai un sistema consolidato tripolarismo si è autodistrutto a seguito della dimostrata mancata capacità di governo del terzo polo, decretata definitivamente dalle ultime elezioni regionali emiliane. Così, siamo tornati al bipolarismo. Il nostro Paese ha perso soltanto tempo prezioso. Guardando ai populisti di destra, dove Matteo Salvini, il leader sovranista per eccellenza, sceso dal Nord ha voluto personalizzare la competizione elettorale facendola diventare più che una competizione amministrativa territoriale una competizione politica nazionale ha registrato la sua peggiore sconfitta personale, a suon di citofono e tortellini. Infatti, nonostante l’aumento in percentuale della Lega e di Fratelli d’Italia rispetto alle precedenti regionali del 2014, in quella terra rossa per eccellenza, la sovraesposizione “social” non ha modificato la fiducia dell’elettore.

Gli emiliani-italiani di fatto hanno bocciato i pieni poteri, l’uomo solo al comando, le urla, il sovranismo e il giustizialismo. Osservando l’area rappresentata dal vincitore ci si chiede, perché abbia vinto Stefano Bonaccini. Perché sono confluiti verso la sua persona, verso una figura rassicurante, dai toni pacati, il voto dei moderati. Ovviamente va considerato il valore aggiunto dei suoi precedenti cinque anni di buongoverno. Quella di Bonaccini non è stata solo una competizione elettorale regionale amministrativa ma politica nazionale.

Il ceto medio, strato sociale prevalente nel nostro Paese che oggi soffre più di tutti il disagio, attraverso l’alta percentuale di affluenza si è rivolto alla politica e ancora una volta, ha chiesto moderazione, dialogo, buonsenso, proposte, educazione, rispetto per il prossimo e buona politica. L’insegnamento che se ne trae da questa competizione elettorale è che il personalismo non paga, l’esaltazione del proprio ego vale e deve prevalere in campi assai differenti non in quello della politica dove il gioco di squadra e di visione generale la fa da padrone e la figura di leader è altro. Che i moderati quando sono rappresentati da persone di buonsenso si svegliano, si recano alle urne ed esprimono il loro consenso che poi si decreterà vincente. Ne è la dimostrazione il successo di Forza Italia in Calabria (nonostante la poca affluenza e la diversità territoriale) e della sua scomparsa in Emilia-Romagna.

Oggi prendiamo consapevolezza che non dobbiamo più parlare di centrodestra o centrosinistra. Oggi il bipolarismo nel nostro Paese è espresso da una parte dal sovranismo-giustizialista e dall’altro dai moderati-garantisti. E gli italiani sembrano avere le idee ben chiare su cosa volere. Sta ora alla classe politica dirigente raccogliere il segnale lanciato e trasformarlo in proposte alle prossime tornate elettorali che seguiranno.

Aggiornato il 29 gennaio 2020 alle ore 12:08