Hanno ragione Meloni e Berlusconi

Da ciò che ha dichiarato, “rifarei tutto”, sembra che Matteo Salvini sia fuori strada. Lo diciamo per il suo bene e di tutto il centrodestra che, al netto dell’Emilia-Romagna, resta indiscutibilmente la coalizione maggioritaria e vincente. Del resto, a parte le ridicole fanfare del Partito Democratico che sul bastione rosso ha rischiato di brutto e se l’è fatta sotto al punto di raschiare il fondo del barile per incamerare le Sardine e la disperazione dei grillini, con meno errori il centrodestra in Emilia avrebbe forse vinto.

Ecco perché il rifarei ogni cosa fa a pugni con le dichiarazioni di Salvini quando “ammette” di poter sbagliare, ci mancherebbe; il problema infatti non è lo sbaglio ma la ripetizione sulla quale insiste, convinto che sia il simbolo della forza e della coerenza. Non è così caro Salvini, la forza e la coerenza non stanno nella testardaggine di un uomo così orgoglioso da ripetersi a memoria, ma nell’ascolto degli altri, l’uso della moviola, la correzione della guida dopo una sbandata per eccesso di velocità. La fretta di strafare convinti di essere il migliore, nella vita e soprattutto in politica si paga cara, specialmente quando l’errore ricade su tutti, compresi quelli che suggerivano il contrario, e in Emilia-Romagna almeno in parte è andata così. Qui non si tratta solo della citofonata che almeno per noi, absit iniuria verbis, è stata una “idiozia”, si tratta d’altro, dalla scelta unilaterale della candidata Lucia Borgonzoni, alla personalizzazione esasperata, alla sottovalutazione delle forze in campo, alla mancanza di collegialità.

Per questo diciamo che hanno ragione Silvio Berlusconi e soprattutto la Giorgia Meloni quando parlano di gioco di squadra, di condivisione, di percorso concordato, di equivalenza fra leader sebbene solo uno faccia da capo. Essere il leader di una coalizione, infatti, significa esattamente l’opposto di un segretario di partito, perché il primo è obbligato a mediare e rispettare le diversità per fare sintesi, il secondo può giocare in solitaria in attesa di un congresso.

Insomma una coalizione, specialmente se vincente, come accade da 2 anni al centrodestra, perché che piaccia o meno anche domenica ha guadagnato una regione, va maneggiata con cura e attenzione maggiore che del proprio clan. Salvini, al contrario, a partire dall’alleanza coi grillini dentro un subordine che ha portato al Reddito di cittadinanza, alla prescrizione, al Mes, in cambio di una Quota 100 per noi sbagliata e di una posizione sui porti peraltro spergiurata, ha deciso tutto in solitaria. Così come in solitaria ha aperto una crisi nel momento peggiore fidandosi di Nicola Zingaretti, che nemmeno controlla se stesso visto che si è smentito subito, senza ascoltare i consigli degli alleati prima di dichiarare una guerra che andava concordata. Tanto è vero che il risultato di quella crisi è stato non solo una flessione elettorale seppure in parte recuperata della Lega, ma la stura al governo più di sinistra della storia e all’unione perniciosa fra i grillini morituri e un Pd sconfitto e frastornato.

Era dopo le Europee semmai il momento giusto per mettere in chiaro i nuovi equilibri elettorali oppure stracciare il contratto; a maggio nessuno avrebbe contrastato l’evidenza di un risultato che ribaltava esattamente tutto, ca’ va sans dire. Nonostante ciò gli italiani hanno sempre confermato un sentimento chiaro e favorevole al centrodestra, premiando la capacità indiscussa di Meloni e, seppure in discesa, l’affezione a Berlusconi, perché, sia chiaro, è solo per questo che la coalizione resta vincente.

Se Fratelli d’Italia fosse rimasta al 4 o 5 percento e Forza Italia franata sotto, soprattutto al sud, oggi Salvini sarebbe il leader di un’alleanza che anziché sfiorare il 50 per cento arriverebbe forse al 37, dunque perdente. Ecco perché il “rifarei tutto” è sbagliato e un certo atteggiamento va cambiato, punto.

Aggiornato il 28 gennaio 2020 alle ore 12:18