Ritorna l’emergenza della “normalità”

Finisce, finirà prima o poi l’emergenza dell’acqua alta di Venezia. Passerà pure la paura di una piena dell’Arno, come quella che già devastò Firenze negli anni ’60. C’è aria di distensione per Taranto, cioè c’è rimasta la tensione e si vanno rilevando impossibili le ipotesi funeste di chiusure e di spegnimenti.

Si torna, dunque, alla normalità. Che però non è tale. Torna, basta un’occhiata ai lavori del Senato, una “normalità” anormale. E ci accorgiamo che il pericolo delle catastrofi naturali e di quelle industriali ha rappresentato per la politica di questa nostra strana Repubblica solo una pausa, il momento di una presa d’aria, di uscita da una sorta di asfissia.

Alla fine (speriamo) delle emergenze che ci avevano fatto dimenticare la “manovra”, anzi le diverse “manovre” che una cosiddetta maggioranza di pseudo-partiti l’uno contro l’altro armati e simulatamente alleati vanno agitando dato che quello che è stato presentato in Senato come bilancio e “manovra” 2020 è solo un terreno di scontro tra cosiddetti partiti che, in quanto “alleati”, si scontrano e si azzannano più che con quelli della cosiddetta opposizione.

La fine delle “emergenze” proclamate se, come è auspicabile si sta per verificare, non comporterà il ritorno ad una “normalità” che non c’è e non c’è mai stata, ma alla commedia di uno scontro in “famiglia” che sta provocando ed ha già provocato danni assai più gravi di quelli dell’acqua alta e della perdita di credibilità per la saldezza industriale del Paese.

Uno sguardo al panorama politico della Repubblica è agghiacciante. Proprio quel mezzo congresso del Partito Democratico tenuto nei giorni scorsi all’insegna di un ritorno alla normalità democratica, ci dà l’occasione di misurare l’enormità dei danni provocati da qualche anno di “novità”.

La stessa Costituzione, salvata dal referendum popolare che ci liberò dall’incubo del desolante pasticcio Boschi-Renzi, ha subìto pesanti sfregi. La riduzione del numero dei parlamentari ha sancito ufficialmente l’inutilità del lavoro del Parlamento. Mandati a casa tot deputati e senatori “per risparmiare”: il taglio degli esuberi come in un’impresa mezza fallita. E, poi, lo sconquasso del sistema regionale che si sta mutando in uno pseudo-federalismo “a passo variabile” basato sul sistema delle disparità di trattamento tra Regione e Regione.

Il sistema dei partiti si è ulteriormente complicato ed è diventato ancora più inconcludente. Il tentativo del Pd di impersonare in qualche misura la storia e la normalità, ha dimostrato, e dimostra l’opposto. Abbiamo una serie di partiti che hanno rifiutato la forma, la sostanza, la posizione, la denominazione storica cercando nomi e simboli che sembrano quelli di marche di biciclette e di biscotti per la colazione di bimbi.

Gli italiani dovrebbero contrapporsi tra di loro e confrontarsi dietro quelle bandiere e dietro quelle denominazioni, per non parlare delle personalità dei leaders. Una serie di segni senza significato e senza storia.

In un quarto di secolo, dal simbolo calcistico-aziendale (Forza Italia) del partito di Silvio Berlusconi, fino all’assai poco originale “Italia Viva” di Matteo Renzi, una pioggia di sigle da detersivi e prodotti per la casa si è rovesciata sull’Italia. Accompagnate dal vezzo di aggiungere, per dare un minimo di intellegibilità, il nome del leader, del “padrone”, del segretario, indicato, però, come “presidente”.

Tutti candidati alla Presidenza del Consiglio. Che, poi, non è carica elettiva. “Berlusconi Presidente” e, magari, “Ingroia Presidente”, passando per “Di Pietro Presidente”. Già, Di Pietro. Una meteora. Ricordate, “Mani Pulite nel Mondo” ed altre cavolate. Ma gli va dato atto di essersi saputo (o dovuto) tirare indietro.

Avanza però, senza simboli ma non senza la supponenza intollerabile delle cazzate formali e informali, il Partito dei Magistrati. Ne parlavamo e ne scrivevamo già molti anni fa. Oggi, pochi ne parlano ma molti sono convinti almeno della sua esistenza, anche se non abbastanza preoccupati, della sua incombente presenza ingombrante ed intollerabile. E la fine dell’acqua alta e delle vicende varie di Taranto e delle sue acciaierie lascerà traccia anche in una ripresa di questo assai poco “normale” partito. L’acqua alta del caso Palamara non sembra averlo danneggiato se non nella stima dei cittadini più pensosi e seri. Che non sono, poi, troppi e troppo attivi.

Aggiornato il 20 novembre 2019 alle ore 11:07