Umbria docet?

L’epoca contemporanea contempla un’Italia assai scontenta della politica che l’amministra. Il nostro non è certo l’unico Paese che lagna tale insoddisfazione ma, purtroppo, è pure tra i meno bravi a proporre delle strategie di rivalsa politica popolare efficaci. C’è chi scende in piazza e chi no, ma le nostre “piazzate” non hanno mai posto rimedio al parassitismo e allo squallore di certo potere politico.

Attraversate le sigle dei “vari” partiti comunisti, dopo cinquant’anni meno pochi mesi, l’Umbria non è più di sinistra. Ottimo, la politica della sinistra devasta storicamente il mondo, ma la destra di oggi cosa sa fare?

Decenni fa, arrivò alla ribalta quel certo Silvio Berlusconi che promise una sorta di rivoluzione liberale che però non c’è mai stata. Oggi la destra prende l’Umbria, ma di che destra si tratta? Stiamo prendendo atto di una destra che sbraita, che si esprime con spocchiosi proclami, che utilizza la comunicazione con la magniloquente enfasi che è sempre stata tipica della sinistra; una Destra che scende anche in piazza, ma che offre le trite e ritrite “piazzate” da week-end.

La prosopopea di Matteo Salvini ha sconvolto lo stile liberale e mentre Giorgia Meloni si è messa un po’ ad imitarlo, ecco che ritorna quel certo Berlusconi, sempre un po’ ispirato a Narciso, che si propone con un messaggio che, voglia Iddio, speriamo che questa volta sia realizzato. Nell’enfasi della destra di oggi, Berlusconi richiama alla capacità di riflettere, mediare e proporsi con lo stile e l’intelligenza che dovrebbero essere tipici della politica moderata, democratica e liberale. Dirigenti politici che persistono nel cattivo esempio di un fare presuntuoso, spocchioso e anche “visionario”, generano delusione e perfino cattiveria nella società che s’illude d’aver conquistato delle libertà che di fatto non ha assolutamente fatto sue.

Per esempio, illudendoci d’aver conquistato la libertà d’opinione e di parola, siamo divenuti incapaci di esporre concetti che contengono significati importanti e veri. Le nostre parole sono spesso degli slogan, ovvero delle frasi fatte che non esprimono proprio nulla. Nell’inconscio, avvertiamo la vuotezza del nostro esprimerci che, infatti, saturiamo con una serie di toni, smorfie, gesti e posture che invece di dare un’anima alle nostre parole, le rendono artificiali e come fatte di plastica.

I politici di turno non fanno altro che gesticolare, sgranare gli occhi, “smorfiare”, agitare la testa e le braccia per approntare delle posture sensazionaliste; ciò potrebbe anche essere accettato se fosse complementare a esternazioni dai contenuti seri e interessanti, ma invece si tratta di un parlare che indica pochezza e ornarlo di ridicole posture, rende squallida la comunicazione e deprime la realtà culturale del Paese. Purtroppo, i “fari” della sopra descritta postura dell’enfasi, sono proprio i troppi politici che credono di poter riempire la loro vuotezza col nulla.

Aggiornato il 31 ottobre 2019 alle ore 12:00