Chi di cambiamento ferisce...

I grillini starnazzano come tante oche del Campidoglio gridando al tradimento e lamentando la rottura della continuità di Governo. Eppure, la crisi non implica altro che un nuovo cambiamento, proprio come piace a loro. Detto diversamente: chi di cambiamento colpisce di cambiamento perisce.

Che il termine "cambiamento" goda in politica di ottima reputazione non è certo una novità. Si ha però l’impressione che con questo termine i grillini intendessero fin dall’inizio una sola cosa: arrivati noi, il cambiamento porterà l’Italia nel paradiso dell’onestà e della giustizia sociale. Dunque, a quel punto, chi mai vorrà più cambiare? E invece le cose stanno andando diversamente e tutto sta cambiando per volontà di più soggetti e partiti che, del resto, invocavano da tempo la fine dell’avventura, rischiosa e comunque costosa, giallo-verde. Ovviamente uno può sostenere che vi sono cambiamenti buoni e cambiamenti cattivi e quello attuale, secondo i grillini, apparterrebbe naturalmente alla seconda classe.

In effetti non è per nulla certo che la crisi in atto offra prospettive rassicuranti poiché, dall’altra parte, la Lega sembra proseguire cocciutamente sulla linea politica di chi crede che amministrare per bene una nazione, curandone gli interessi in Europa e nel mondo, sia la stessa cosa che amministrare un comune o una regione, magari litigando ogni tanto con lo Stato centrale. Tuttavia i grillini non hanno alcun diritto di protestare perché il loro cambiamento ha avuto più di un anno di tempo per manifestarsi e non è scritto da alcuna parte che le cose non dovessero modificarsi per cinque anni. Il fatto è che, senza ideali politici e senza dottrina di politica sociale ed economica di lungo respiro, un movimento come quello grillino non aveva alcuna possibilità di guardare lontano e i piccoli cambiamenti realizzati o progettati non potevano che esaurirsi come un modesto ruscello che finisca nella sabbia. Piccole storie, insomma, di piccoli individui ancorché supponenti e sbraitanti.

Ora il Grande Cambiamento, cioè quello della inesorabile logica delle vicende politiche, sta ponendo fine a questa esperienza movimentista la quale, alle prossime elezioni, ben difficilmente potrà riprodurre il successo del passato poiché anche in politica, per citare Eraclito, che di cambiamento si intendeva, “non è possibile scendere due volte nello stesso fiume”. Si dice che il movimento grillino ci avrebbe comunque salvato, dopo il ribollimento sociale dovuto alle restrizioni imposte dal Governo Monti, da più aspre crisi sociali. C’è però da chiedersi se ne sia valsa la pena e se non fosse meglio che l’azione politica, e quella sindacale, governassero in modo più intelligente il conflitto sociale che si stava profilando. Certo sarebbero occorsi uomini, politici e sindacalisti, di statura ben superiore a quella disponibile ma questi forse si sarebbero fatti avanti se la crisi sociale si fosse fatta intensa. Invece, troppi italiani hanno creduto ad un comico ed ai suoi tanti plauditori, capaci solo di lanciare invettive, insulti e parole d’ordine che definire banali e ultra-populiste sarebbe poco.

Parliamoci chiaro: per "cambiamento" la maggior parte degli italiani intende il ritorno a "come stavamo prima". Il tutto nella più totale indifferenza per il fatto che il benessere di "prima" fosse sorretto da infinite cambiali e conti da pagare che i vari Governi di centro-sinistra, ma poi in parte anche di centro-destra, accumulavano senza ritegno, sviluppando un debito pubblico pauroso e della cui esistenza ben pochi, diciamo la verità, sapevano o comunque si preoccupavano. Di conseguenza, fra gli italiani manca tuttora la consapevolezza circa il nostro stato economico reale e riguardo alla gestione delle risorse pubbliche, che ha dispensato per decenni a debito ricchezze inesistenti, e dunque riguardo agli sforzi di adeguamento a gran parte dei Paesi europei se desideriamo davvero progredire. Un ulteriore anno perduto, fra le chiaccchiere urlate ma inconcludenti cui abbiamo assistito gorno per giorno, non è certo la premessa migliore.

Se, dunque, la nascita del movimento grillino ci ha salvato dalla crisi sociale violenta essa ci ha però portato dalla padella dei forconi alla brace del più completo disordine economico. E chi aveva testa per pensare lo sapeva perfettamente. Ora, inevitabilmente e come ampiamente previsto, resteranno a galla solo i partiti che esprimono le idee classiche della destra e della sinistra, augurandoci che, a destra come a sinistra, prenda corpo un minimo di razionalità e non il ricorso a rinnovate promesse senza costi. La lezione finale è che il cambiamento, che comunque ognuno intende a suo modo, finisce quando comincia ad essere posto in essere. Un Governo del cambiamento ha senso quando lo si propone ma, quando è in carica, non può che trasformarsi in un Governo della stabilità. E gli elettori farebbero bene a ricordarlo.

 

Aggiornato il 13 agosto 2019 alle ore 14:36