La borghesia liberale sembra ormai sommersa

La crescita italiana è ferma: i dati più recenti forniti dall’Istat evidenziano un Pil che, nel secondo trimestre del 2019, non aumenta né in confronto al trimestre precedente né allo stesso trimestre dell’anno scorso. L’istituto di statistica sottolinea che continua “la fase di sostanziale stagnazione” che porterà, nel caso in cui non ci saranno variazioni, a chiudere il 2019 con crescita a zero. Amen.

Allora, la mia domanda è: come si fa ad uscire dalla crisi che ci attanaglia da oltre 10 anni e che, anzi, pesa fin dal 1992 senza soluzione di continuità? Vi ricordate i governi del rigore e della crisi guidati da Giuliano Amato e da Carlo Azeglio Ciampi? Che fine ha fatto la rivoluzione liberale? Vorrei che si aprisse un dialogo con i lettori del quotidiano “L’Opinione”.

Ci sono una serie di domande che ho cercato di seminare, ogni volta, articolo dopo articolo, da qualche anno a questa parte, lungo tutto il percorso della mia collaborazione con il nostro giornale “della Libertà”. A questo punto, mi piacerebbe che si avviasse, dentro e fuori queste pagine, un dibattito aperto e che le persone ritrovassero il gusto del contraddittorio rispettoso e costruttivo.

Provo a riassumere qui di seguito alcune delle domande che ho tentato di stimolare nei miei articoli, in maniera dichiarata o implicita, sul nostro quotidiano. E le ripropongo ai lettori per cercarne un dialogo o, almeno, una reciprocità: come si esce dalla crisi economica, sociale e politica che stiamo attraversando da oltre dieci anni? Esiste ancora, in Italia, una borghesia illuminata e liberale in grado di dare un impulso sussidiario al tessuto sociale, culturale e politico del nostro Paese? Si può nutrire, qui da noi, una mentalità liberale capace di andare oltre al mero guadagno personale e personalistico? L’interesse della collettività confligge con l’interesse personale o le due possibilità potrebbero convivere e completarsi a vicenda? Che ruolo potrebbe giocare, per la crescita civile e civica dell’intera realtà sociale, un rinnovato agire basato sulla solidarietà, sull’amore, sull’altruismo da parte di una borghesia finalmente ritrovata? Come si forma o si sta formando la classe dirigente dentro e fuori i partiti? Attraverso quali metodi e quali strumenti sta emergendo la classe dirigente dopo la fine dei partiti? È possibile riscoprire la qualità ormai inondata e soverchiata dalla spasmodica ricerca della quantità? Quanto pesa l’egoismo? Aiutare gli altri è da fessi?

È possibile avviare, nel contesto in cui viviamo, una “Rivoluzione liberale” che tenga conto dell’altro, degli altri e dell’alterità? Esempi di persone illuminate, anche in Italia, non mancano. Spesso sono sconosciute perché agiscono in silenzio, senza dare pubblicità al proprio agire solidale e all’azione di volontariato verso i più deboli, gli esclusi, gli emarginati e i meno fortunati o verso chi trova difficoltà ad integrarsi. Sono queste realtà associative, individuali, culturali, artistiche, imprenditoriali o di liberi professionisti e del cosiddetto terzo settore che tengono ancora insieme il nostro tessuto sociale. Questo è il più urgente dibattito politico che avremmo necessità di affrontare.

All’inizio del secolo scorso, il sociologo Max Weber scriveva: “La sete di lucro, l’aspirazione a guadagnare denaro più che sia possibile, non ha di per se stessa nulla in comune con il capitalismo. Questa aspirazione si ritrova presso camerieri, medici, cocchieri, artisti, soldati, banditi… in tutte le epoche di tutti i Paesi della terra”.

La mia riflessione è questa: è come se la crisi avesse spinto la borghesia italiana a chiudersi in se stessa, a perdere fiducia nel prossimo e a muoversi soltanto nella salvaguardia dei propri interessi particolaristici senza più una visione d’insieme.

In Italia, la cultura del pensiero borghese diventa pratica politica ed economica nei venti anni successivi al 1848. Infatti, sono proprio quelli gli anni in cui la borghesia europea conosce un’assai significativa stagione di crescita e un’affermazione sociale davvero capace di cambiare la vita delle persone in carne ed ossa. All’epoca, la congiuntura economica era divenuta favorevole e contribuì notevolmente all’affermarsi del pensiero borghese. Questo accadde sia perché le nuove borghesie si erano liberate dai rapporti con le logiche gerarchiche di un vecchio modello feudale e aristocratico che aveva penalizzato la borghesia nella distribuzione del potere, sia per la sconfitta subita da quei rivoluzionari che si erano lanciati nell’avventura dei moti del ’48 e che non riuscirono nel loro intento di libertà. In più, nell’Ottocento, il mondo borghese cominciava a creare una rete di solidarietà sociale tesa al benessere e alla libertà di tutti, non soltanto al proprio particolare arricchimento.

In tempi più recenti, ma ancora del secolo scorso, mi torna alla mente una personalità borghese come quella di Adriano Olivetti, che – come molti lettori già sapranno – si prodigò, con il suo lavoro e le sue intuizioni, per cambiare le cose in meglio attraverso innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a sostegno di tutti e della comunità. Perché dobbiamo sentire, anche noi, ancor di più oggi, di appartenere alla medesima comunità di destino.

Qualcuno, dopo i miei oltre 25 anni di attività politica, con grande affetto, ritiene che io sia una sorta di Don Chisciotte, un sognatore, un idealista. Ebbene, lo ammetto: è così, ma non sono un illuso, non mi sono mai illuso e, perciò, la politica non mi ha mai deluso. Ecco perché spero si raccolga il mio invito alla discussione e che si tenti, insieme, di dare qualche risposta alle domande che ho formulato nel corso degli ultimi anni su “L’Opinione”. Ne vogliamo parlare o scrivere?

Aggiornato il 01 agosto 2019 alle ore 12:51