Deontologia e dirigenza pubblica

Chi governa un’impresa pubblica è il responsabile esclusivo del suo indirizzo generale e gestionale, soprattutto quando le ferree regole economiche è giusto siano contemperate con gli interessi comunitari. Ne deriva che il primo aspetto regolatore deontologico dovrebbe essere quello di non guardare soltanto le aritmetiche regole del profitto “sic et simpliciter”, ma di tenere altresì nella debita considerazione pure tutta la serie di attinenze sociali della missione da svolgere: senza, tuttavia, astrarsi del tutto in merito alle varie condotte settoriali. Perché se è pur vero che il conto economico condiziona la vita di ogni azienda, è altrettanto palese che un andamento costantemente passivo non può affatto costituire il troppo facile pretesto “sociale” per scivolare lungo la discesa della irresponsabilità gestionale.

Una sana amministrazione aziendale pubblica non dovrebbe estinguersi, perciò, nella pura e semplice ricerca del profitto: tuttavia, per essa, i due parametri della economicità e della socialità dovrebbero pur convivere, fondendosi armonicamente e non urtandosi. Lo Stato e gli enti pubblici, soprattutto nelle libere economie occidentali, dovrebbero in qualche modo adempiere questa missione, che non dovrebbe essere finalizzata solo al semplice arricchimento azionario ma, pur mantenendo sempre un occhio vigile sulla concreta operatività aziendale, potrebbe avere piena contezza dei fini sociali. Ci sia consentito di dubitare che questo Governo (che già difetta assai a svolgere i suoi compiti propri, infarcito, com’è, di dilettanti) abbia la sensibilità di seguire pure la miriade di società che sono, in misura più o meno ampia, partecipate dal ministero della Economia e che vanno avanti solo per le capacità dei singoli dirigenti, spesso privi di bussole di orientamento politico.

A partire da Alitalia e proseguendo con l’universo Fs, Leonardo, Poste, Cassa depositi e prestiti, fino a tutta quella miriade di aziende grandi e piccole che sono partecipate dallo Stato, la possibilità di porre (in via indiretta, nella maggior parte dei casi) le perdite di esercizio a carico degli ignari contribuenti è una poderosa arma di distrazione di massa: che, ove fosse legata a una bassa carica morale, finirebbe per essere del tutto letale per la più sana deontologia professionale della nostra dirigenza pubblica.

Aggiornato il 30 luglio 2019 alle ore 12:54