L’Europa romantica di Boris Johnson

Due anni fa, all’indomani della nomina di Boris Johnson a Ministro degli Esteri britannico e pochi giorni prima del referendum che avrebbe sanzionato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea questo giornale scrisse sull’idea romantica che l’attuale primo ministro conservatore ha dell’Europa.

Da sempre forte sostenitore della Brexit, in un’intervista rilasciata prima del voto popolare dichiarava di essere europeo ma di non sopportare il modo in cui si confonde l’Europa con il progetto politico dell’Unione europea, con regole semplicemente ridicole in cui i cittadini vedono l’impotenza dei loro politici, ad esempio sull’immigrazione.

L’essere europeo di Johnson, fine intellettuale, laurea in storia antica ad Oxford, è ben sintetizzato in un suo volume che anche in Italia ha avuto grande successo: “Il sogno di Roma. La lezione dell’antichità per capire l’Europa di oggi” ove analizza come nell’antica Roma popoli diversi poterono condividere una comune identità europea, quella romana, così difficile invece da raggiungere oggi.

Appare utile ripercorrere diversi passaggi del piacevole volumetto per meglio comprendere il pensiero del premier che si pone come obiettivo il traghettare il proprio Paese definitivamente fuori dall’Europa.

L’autore, grande estimatore di Roma, sin dalle prime pagine sostiene che per molti versi l’Unione europea può essere considerata l’erede dell’Impero Romano in quanto ‘tentativo di unificare un vasto e diversificato territorio alla maniera dei romani, creando un mercato unico, una moneta unica e un’unione politica’.

Traccia poi un parallelo tra ciò che riuscì all’Impero romano e ciò che non sta riuscendo all’attuale Europa sottolineando le criticità nella mancanza di assimilazione e identificazione.

A partire dalla moneta unica, introdotta dall’imperatore Augusto nell’11 A.c., il cui valore risiedeva non tanto in quello intrinseco del metallo, ma nell’autorità dell’immagine che recava stampata, limite che secondo Johnson ha oggi l’Euro, su cui “i leader europei non si sono accordati su un’unica persona da ritrarre ripiegando su una deprimente serie di disegni architettonici che privano la moneta di valore e responsabilità politica”.

In un territorio corrispondente a trenta odierne nazioni che arrivò ad occupare all’apice del suo successo, Roma riuscì a cooptare le elites culturali provenienti dalle più svariate regioni: Seneca e Marziale dall’attuale Spagna, Diocleziano dalla Croazia, Costantino dalla Serbia, Settimio Severo dalla Libia.

Proprio Augusto, di cui Johnson coglie molti aspetti di modernità, comprese l’importanza della cultura per dominare l’opinione pubblica. Ma non solo: per esprimere un senso di grandezza volle dare un segno riconoscibile mediante opere architettoniche maestose, imprese militari, letteratura, giochi, ai quali assisteva in prima persona mostrando di condividere le passioni del popolo. Tutto funzionale alla costruzione di uno spirito, di un’unità, di una consapevolezza.

Se è vero che le province conquistate avevano perso le loro libertà è anche vero che entravano in una gabbia dorata.

Oggi, dice Johnson, da qualsiasi prospettiva la si guardi Waterloo non significherà mai la stessa cosa per un britannico e per un francese. Per tutto il mondo romano, invece il nome di Azio – la battaglia navale che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio – significava la stessa cosa: aveva un unico, chiaro e immutabile valore politico e questo grazie all’operato di Virgilio e dei poeti augustei. Qui l’Autore fa una proposta agli eurocrati: per ricostruire una cultura comune europea si deve tornare alle radici facendo leggere l’Eneide a tutti i ragazzi dell’Unione entro i sedici anni.

Le pagine si concludono con alcune riflessioni in merito alla mancanza di simboli intorno a cui i popoli del continente dovrebbero aggregarsi. Dalla lettura del saggio, scritto nel 2006, esce fuori un Boris Johnson diverso da quello che viene descritto oggi, un Boris Johnson che avrebbe voluto un’Europa finalizzata ad unire popoli diversi per storia, religione e tradizioni sulla scia del successo di Roma che riuscì a costruire un sistema politico, e più ancora una civiltà, in grado di unire e amalgamare milioni di cittadini. Il suo sempre più accentuato antieuropeismo forse deriva dal fatto di aver immaginato e rincorso un’Europa dall’idea troppo romantica.

Aggiornato il 26 luglio 2019 alle ore 12:14