Cronache di una giornata liberale (e folle) dal PLI

La Direzione nazionale del Partito Liberale Italiano tenutasi lo scorso 24 luglio 2019 segna uno dei punti più bassi mai raggiunti nella storia del nostro partito.​​​​​​ Ignorando le più elementari regole che normano i consessi assembleari, il presidente del partito, Stefano De Luca, ha letteralmente impedito la discussione di una mozione, presentata dal presidente del Consiglio nazionale, che proponeva che il prossimo imminente Congresso fosse un congresso aperto per rilanciare il partito, un Congresso straordinario senza il sistema perverso attuale in virtù di uno Statuto bizantino che, anziché favorire la partecipazione, la scoraggia.​​​

La cronaca della Direzione Nazionale di quello che fu uno dei più gloriosi partiti della storia della nostra Repubblica rasenta la farsa. Il presidente del Pli, già in difficoltà per un punto dell’ordine del giorno passato per appena 7 voti contro 5 (di cui 2 strappati via telefono direttamente da De Luca), e solo grazie alla minaccia delle sue dimissioni in caso di esito non favorevole alla sua tesi, temendo il peggio, ha dapprima preteso che la discussione della mozione riguardante il Congresso, al primo punto dell’ordine dei lavori, passasse tra le varie ed eventuali e poi, con un colpo di mano, degno dei regimi più odiosi e illiberali, ha chiuso arbitrariamente i lavori della Direzione Nazionale non permettendo neppure la lettura della mozione.

Questo è accaduto, questo è ciò che accade sotto il tricolore liberale da troppo tempo: l’ostracismo sistematico e scientifico del diritto d’opinione, sacro ad ogni sincero democratico, ad ogni autentico liberale. Non, ma non è una novità, al presidente del Partito Liberale.​​ Chi fa parte di questa minoranza, che non si è potuta contare, ha, per anni, creduto sinceramente nella guida di De Luca, ne ha condiviso la linea, spesso anche turandosi il naso. Sino ad oggi. Pensavamo e pensiamo tutt’ora che sia necessario rifondare questo nostro partito, di allargare il campo e lavorare affinché il Pli possa nuovamente contare non solo sul sostegno di chi, in questi anni, lo ha lasciato perché accompagnato alla porta da Stefano De Luca, ma anche di nuove forze che vedono nella politica liberale l’unica alternativa valida ai populismi.

Abbiamo provato a dire basta alla logica dell’uomo solo al comando, che tutto controlla e tutto dispone da più di vent’anni, per tentare una nuova strada: quella dell’inclusione e della rigenerazione. Ma nulla di tutto questo è potuto rimanere agli atti.​​​​​ Se, da una parte, lo “sciogliere le righe” di De Luca, ormai alle prese con una Direzione divisa e confusa al suo interno e che si appresta a sfuggire al suo controllo, ha impedito alla minoranza interna di sostenere le proprie tesi, dall’altra non può che rappresentare l’epilogo di questa presidenza, protagonista e responsabile di una gestione politica fallimentare.

Non volevamo un referendum sulla sua presidenza, ma la fine dei Congressi decisi in base a logiche antiquate e capziose, che tutto rappresentano fuorché la culla della programmazione politica e organizzativa che sta alla base di ogni partito degno di questo nome.​ La difficoltà e l’evidente imbarazzo che giustificano questo atto d’autorità, illegittimo e illiberale, ci confermano che siamo sulla strada giusta: il Partito Liberale Italiano merita di meglio, merita di più. E, se ci sarà data la possibilità, continueremo a lavorare per questo.

(*) Membro della Direzione nazionale del Pli​​​

Aggiornato il 26 luglio 2019 alle ore 10:25