Tutti beati

Nel Paese dei santi e dei navigatori una beatificazione non si può negare, del resto da anni la Chiesa santifica senza risparmio, per questo non sorprende il percorso di grazia e di purificazione spirituale di Francesco Saverio Borrelli.

In fondo basterebbe pensare a Roberto Bellarmino, che durante l’Inquisizione mandò al rogo Giordano Bruno e poi ci provò con Galileo Galileo, mancando per un soffio il risultato. Eppure guarda caso il gesuita, cardinale Bellarmino, non solo è stato fatto santo, ma innalzato a faro luminare della Chiesa; insomma accostato a Tommaso e Agostino, fate voi.

Per parte nostra non ci è mai piaciuto di cambiare giudizio, nel passaggio dal prima, durante e dopo la vita di qualcuno; nel bene e nel male, portate pazienza, abbiamo sempre preferito la coerenza. Passare dai crucifige agli osanna francamente ci sembra ipocrisia, una mancanza di rispetto, un modo strano di cambiare il sentimento umano. Ecco perché la risonanza sulla vita di Francesco Saverio Borrelli, sull’acclamazione delle sue virtù, più che colpire ci lascia pensare e tanto. Tangentopoli infatti per noi non fu una bella pagina d’Italia, un capitolo esemplare della nostra storia. Tutt’altro, rappresentò un passaggio oscuro, drammatico, triste e desolante. Quegli anni restano nell’immaginario collettivo non come la vittoria della virtù sul vizio, magari fosse stato, ma la testimonianza della fragilità della democrazia, quando il Parlamento e la politica si inginocchiano all’ipocrisia.

Parliamo di un clima infame che c’è stato, dei dubbi su una quantità d’inchieste, degli schiavettoni dati in pasto ai giornaloni, parliamo del dramma dei suicidi, delle vite rovinate da troppe indagini risultate poi sbagliate, alla faccia del garantismo e della responsabilità civile. Parliamo della spettacolarizzazione, degli show sui mezzi d’informazione, dell’uso a gogò della carcerazione, di una stagione su cui c’è molto da chiarire ancora. Tanto è vero che ci si chiede ancora il perché di una determinazione totale verso alcuni, mentre troppa arrendevolezza verso altri, ci si domanda come mai la politica italiana fosse fatta da una parte corrotta e da una parte benedetta dal signore.

Insomma, inutile girarci intorno, del resto molte cose, non tutte, sono uscite fuori, alcune per ammissione stessa degli inquirenti; la politica non era divisa solo tra bravi e delinquenti, ma tra ipocriti e predestinati. È vero la magistratura sollevò un coperchio sotto il quale c’era di tutto, peccato che quel tutto fu almeno in parte arbitrario, tanto è vero che il risultato di quella stagione non è stata la purificazione, ma la distruzione, e da quel momento l’Italia ancora non si è ripresa.

Altro che Seconda repubblica, le repubbliche nascono da una nuova Carta, dalla riscrittura della Costituzione, dal “non ci sto” di Oscar Luigi Scalfaro ne è seguita solo la dissoluzione.

Tanto è vero che la frattura fra politica e giustizia da Tangentopoli in poi si è allargata, da quando allora il Parlamento per paura decise di abdicare abolendo l’autorizzazione a procedere, al posto della purificazione c’è stata solo subordinazione.

Per questo, seppure con ogni rispetto laico sulle doti naturali e personali del capo storico di Tangentopoli, siamo contrari alle acclamazioni a posteriori. Se al posto delle prefiche si pensasse ad una riforma seria della giustizia, e lo scandalo sul Csm dovrebbe insegnare, allora sì che potremmo acclamare.

Aggiornato il 23 luglio 2019 alle ore 11:19