Le élites disintermediate

giovedì 20 giugno 2019


Esiste una “Élite della disintermediazione”? Se sì, come farà senza competenza, cultura, passato e lunga pratica adeguati a ottenere la “patente di guida” per la conduzione di processi politici strategici che hanno portata ultragenerazionale? In sintesi: i Palazzi del Potere-Istituzione (così come li abbiamo conosciuti negli ultimi due secoli) vanno lasciati andare in malora, oppure occorre restaurarli e renderli funzionali al mondo che cambia e ci sfugge, perché disintermediato dalla dittatura dei mercati e dalla finanza speculativa senza frontiere?

Ora, è proprio il populismo sovrano a evocare la creazione di ”élites anti-élites”, cioè “A e non-A” la cui espressione (stando al buon Gödel) rappresenta una teoria inconsistente. E, in effetti, il sovranismo populista non ha nessuna ideologia che lo rappresenti, se non l’immanenza del “Presentismo”, per cui tutto è presente e le esigenze del popolo sovrano sono da soddisfare con effetto immediato. Questo processo muove dal motto sessantottardo “Vogliamo tutto e subito”. Le élite che l’hanno allora assecondato scelsero di gravarne gli immensi costi relativi sulle generazioni successive, destabilizzando ancora chissà per quanto tempo i bilanci pubblici a seguito dell’indebitamento disastroso di uno Stato-Provvidenza “dalla culla alla bara” e a costo zero per i cittadini. Ma, una politica che non sa pensare al futuro, muore di presente.

Così la “Libra”, il bitcoin centralizzato (una sorta di ossimoro, certo) di Facebook farà presto giustizia di un sistema bancario asfittico, ipertrofico e autogestito improvvidamente, sottraendogli molte decine di miliardi di utili sulle transazioni online annuali per carte di credito e bancomat. Ma veniamo alla questione strategica: come realizzare una democrazia diretta “all’ateniese” con parecchie decine di milioni di cittadini e poi dotarla di un equipaggio (leadership) “popolare”? La soluzione che intravedo da sempre è (relativamente) semplice. Da un lato, basta costruire una funzione di auto rappresentanza, controbilanciata dall’altro dall’investitura diretta di una Premiership autorevole e con pieni poteri di indirizzo, all’interno di una “balance of powers” che veda ai vertici istituzionali un triangolo composto da Assemblea Unica, Premier e Presidente della Repubblica, con all’esterno una Magistratura indipendente e un Giudice delle Leggi. I tre vertici sono legati tra di loro da un sistema di garanzie governato da un sofisticato sistema di “recall” affidato al giudizio insindacabile dell’elettorato per l’eventuale fine anticipata del loro rispettivo mandato.

La funzione di auto-rappresentanza si basa su di un principio semplicissimo: per stare al timone del Bastimento-Nazione occorre avere una “patente” che consenta l’iscrizione a un Albo unico nazionale di aspiranti parlamentari, da cui estrarre poi per sorteggio gli eletti, sulla base di parametri universali come la piramide di età, il sesso e la residenza anagrafica riproducendo scalarmente, per quanto possibile, la relativa distribuzione di fatto della popolazione esistente. La patente la dà il Giudice delle leggi gestore unico dell’Albo accertando la conoscenza degli aspiranti in merito a fondamenti della Costituzione, della Contabilità e del Bilancio dello Stato e al possesso di adeguati strumenti di “drafting law” (redazione ed esposizione in pubblico di disegni di legge e norme regolamentari). Per di più, gli aspiranti sono obbligati a frequentare un corso di formazione sul modello dell’Ena con durata biennale. I non sorteggiati permangono nell’Albo con un trattamento economico pari a tre volte lo stipendio medio nazionale e sono applicati, alla fine del corso, come supervisori territoriali degli atti e dei bilanci degli enti locali. I vantaggi, come si vede, sono enormi: da un lato non ci sono più cacicchi, circoli di potere palese e occulto, lobbies e così via che finanziano costose campagne elettorali dei candidati che hanno a cuore solo gli interessi dei loro mandanti e quasi mai quelli della collettività.

Per di più, i partiti concorrono come macchine elettorali all’elezione del Premier e alla formazione del relativo programma dettagliato di governo che il vincitore ha diritto di realizzare, proponendo all’Assemblea propri decreti legislativi “chiusi”. Ovvero: il Parlamento li approva o respinge nella sua interezza, a meno di una mediazione di reciproco interesse. Il Premier ha diritto di veto sulle norme finali prodotte dall’Assemblea per poi sottoporle a referendum confermativo. I sovrano-populisti si riterrebbero così soddisfatti?


di Maurizio Guaitoli