In difesa di Palamara

E dunque, anche Pasquale Grasso, presidente della Associazione nazionale magistrati, si è dimesso dalla carica, dopo essersi già dimesso, giorni orsono, dalla corrente di appartenenza, quella di Magistratura indipendente. Non basta.  Si è anche dimesso da segretario della propria corrente – la medesima – Antonello Racanelli, procuratore aggiunto di Roma. Chi altri domani o dopodomani? Inoltre, man mano che vengono fuori altri nomi di magistrati, si moltiplicano gli esposti depositati a Perugia, sede competente a conoscere eventuali illeciti commessi da magistrati romani. La verità nuda e cruda – anche se terribile a dirsi – è che si dovrebbero dimettere in tanti, ma non solo dalla carica correntizia temporalmente occupata, ma dalla magistratura in quanto tale.

Infatti, che fiducia possono ispirare in tema di probità, di onestà morale ed intellettuale, di equilibrio, di imparzialità, quelli che hanno fatto per anni dell’assegnazione dei ruoli direttivi, specialmente delle Procure, una sorta di guerra fra bande contrapposte per interessi di parte o perfino personali? Nessuna. Assolutamente nessuna. Piuttosto, un’altra osservazione va avanzata con determinazione: oggi, occorre, paradossalmente, difendere Luca Palamara. Non da eventuali reati, ma per i comportamenti che si presumono deontologicamente censurabili.

Non si tratta di una semplice esercitazione retorica – come la difesa di Palamede (assonanze a parte), confezionata da Gorgia da Lentini nel V secolo – ma, ben diversamente, di una difesa effettiva del suo operato e della sua buona fede.  Non è difficile intendere perché. Bastano, in proposito, due semplici considerazioni.

La prima. Palamara ha cinquant’anni. Non è quindi un giovane magistrato appena entrato in servizio, impressionabile, portato ad eccedere per esuberanza giovanile, non ancora abbastanza esperto sul da farsi. No. Se supponiamo che sia entrato in servizio sui trent’anni, egli ha già venti anni di attività alle spalle. Ciò significa che per diversi anni, supponiamo sette o otto almeno, egli ha visto i suoi colleghi più anziani fare esattamente le cose che oggi è accusato di aver fatto, cambiando ovviamente luoghi, personaggi, casi singoli.

Insomma, Palamara, come tutti i giovani magistrati appena entrati in servizio, è stato a scuola di correntismo intensivo, ha capito come fare per emergere in tali sedi, ha appreso benissimo la lezione impartita e ha saputo metterla in pratica appena ne ha avuto la possibilità. È stato però sfortunato, in quanto, a differenza dei suoi maestri, è stato scoperto per puro accidente casuale. È del tutto da escludere che Palamara abbia assunto tali comportamenti in modo originario, inventandoseli di sana pianta: sarebbe ridicolo solo pensarlo.

Egli ha semplicemente seguito – da diligente allievo – le tracce di un sentiero aperto da altri e da altri tenuto ben visibile e operativo da anni, fin da quando, fresco di nomina, veniva atteso all’uscita del Palazzo di giustizia (come più volte è accaduto a chi scrive) dai rappresentanti delle varie correnti (nessuna esclusa) che cercavano affannosamente di aggiudicarsi la sua iscrizione.

La seconda considerazione. Se ciò che Palamara ha fatto, è semplicemente perché egli si muoveva in un mondo che non solo consentiva che tali cose facesse, ma che anzi le propiziava e forse addirittura le reclamava. In altri termini, se Palamara rappresentasse davvero un caso unico o quasi, sarebbe stato facilmente scoperto e isolato o addirittura denunciato dai suoi colleghi. Eppure, ciò non è accaduto. Perché?

Anche qui non è difficile rispondere. Per il semplice motivo che i suoi colleghi avevano fatto in passato e continuano a fare nel presente le medesime cose che oggi a lui si rimproverano. Sicché, accusare Palamara serve soltanto ad assolvere sé stessi da parte di coloro che sono responsabili di comportamenti del tutto analoghi. Costoro non godono allora evidentemente di nessuna legittimazione ad accusarlo. E allora meglio sarebbe se tacessero, colti da un sussulto di necessario e salutare pudore, invece di puntare il dito contro Palamara. Anche perché, una volta scoperchiato questo vaso di Pandora, molte cose ancora ignote potrebbero venire a conoscenza della opinione pubblica a carico di altri, di tanti altri.  Come per l’adultera, insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra!

Aggiornato il 17 giugno 2019 alle ore 13:10