Le “correnti associative”, un tumore per la magistratura

mercoledì 12 giugno 2019


La crisi profonda che scuote la Magistratura e tutto l’apparato giudiziario italiano (e, se non lo scuote abbastanza, è perché la crisi è ancor più profonda ed intrinseca di quanto non appaia) ha fatto emergere il nodo che avrebbe dovuto essere il centro di ogni discussione: il problema ed il ruolo dell’Associazione Nazionale Magistrati e, soprattutto, delle “correnti” in cui essa è divisa e lottizzata. Dico e sottolineo “avrebbe”. Non pare che ci sia più chi abbia a cuore la giustizia come pilastro delle istituzioni e che dia segno di come affrontare la realtà e di farsene carico. Quando all’inizio del secolo scorso l’Anm fu fondata da un numero in verità modesto di magistrati, il Guardasigilli, che non era un Bonafede qualsiasi ma si chiamava Vittorio Emanuele Orlando (tempo fa in un mucchio di carte ho trovato la notifica della mia ammissione alla pratica forense firmata, appunto V.E. Orlando che finì la sua vita tornando a far la professione di avvocato ed il presidente dell’Ordine di Roma). Orlando, dunque, si dichiarò subito contrarissimo al sopravvenire di quella associazione, rilevando una quantità di gravi inconvenienti che la sua stessa esistenza avrebbe creato.

C’è da dire subito che quell’associazione presupponeva non già l’indipendenza e l’autonomia dell’Ordine giudiziario, ma si giustificava ponendosi come sindacato di “dipendenti”, di impiegati dello Stato. Sciolta dal fascismo e rinata dopo la Liberazione, l’Anm ebbe subito a misurarsi con problemi di divisioni e frazioni. Per un certo tempo si trovò in posizione concorrenziale con l’Umi (Unione Magistrati Italiani), che raccolse molti magistrati dei massimi livelli di tendenza decisamente conservatrice. Questa, poi, si sciolse e confluì in massima parte nella corrente di “Magistratura Indipendente”.

Il massimo della frammentazione in correnti si ebbe, però, quando venne alla ribalta Magistratura Democratica, di Sinistra addirittura extraparlamentare, come allora si diceva. Ideologicizzata al massimo, essa si considerava, più che una corrente dei magistrati, una corrente politica extraparlamentare proiettata in seno alla Magistratura. Le prese di posizione politico-ideologiche, gli ordini del giorno, le deliberazioni congressuali di Md, tutti chilometrici ed ideologici, erano improntati ad una finalità: “L’uso alternativo della giustizia” quale strumento di rivoluzione e di partecipazione al movimento marxista.

Da allora, grazie anche alla nuova forma di composizione e di elezione del Consiglio superiore della magistratura, la finalità di tutte le “correnti” dell’Anm fu quella di realizzare una lottizzazione del governo della magistratura. Alla “partitocrazia” che caratterizzò la Primo Repubblica, si affiancò una altrettanto ferrea “correntocrazia” nel governo della magistratura. Ho fatto scandalizzare avversari e amici, più volte, affermando che tutto il sistema politico istituzionale della Prima Repubblica non era, come con petulante monotonia si andava ripetendo, “nato dalla Resistenza” ma piuttosto “nato da Yalta”. Oggi siamo tutti un po’ orfani di Yalta e della Guerra fredda. Man mano che andò prendendo corpo la struttura della Magistratura conforme alla nuova legislazione e dipendente dal nuovo assetto anche elettorale del Csm, la lottizzazione di ogni carica direttiva e semidirettiva (presidenti di sezione, etc.) prese corpo e diventò abituale e rigidamente osservata.

Tu mi dai un Procuratore della Repubblica di Vattelappesca di Magistratura Democratica ed io ti do un Presidente del Tribunale di Chissadove di Magistratura Indipendente”. E così via.

La “lottizzazione” è fondata sul “do ut des” di chi dovrebbe esercitare potere a scelte esclusivamente sulla base dei meriti e delle attitudini. Che il sistema lottizzatorio non sia molto diverso, anche dal punto di vista del diritto penale, da un colossale mercato di corruzione è cosa che non sfuggirebbe ad un esame razionale e scientifico della questione. Oggi le “correnti”, già “collaterali” ai partiti politici presenti in Parlamento ora scomparsi, hanno perso, nel dissolversi delle ideologie (e degli imperativi di Yalta) il loro carattere originario e quel tanto della loro giustificazione che ne faceva sistema comunemente accettato. È accaduto in esse quello che è accaduto nella politica parlamentare. Finiti i partiti ideologici (per i quali il finanziamento con tangenti in luogo di “decime” era pressoché naturale), è rimasto l’interesse privato o particolare senza coperture e camuffamenti.

Il denaro per il denaro senza camuffamenti. Qualcosa di simile è avvenuto nel sistema “correntocratico” della Magistratura. Se le correnti non servono più per fare la rivoluzione o per opporvisi, è naturale che quelli che erano gli “strumenti” del potere ne siano divenuti le finalità. Senza voler dare giudizi e prognosi di colpevolezza, direi che il Palamara di venticinque anni fa non è diverso da quello che pare sia divenuto oggi. È cambiato il sistema attorno a lui. Il mercato delle cariche è mercato, quale che ne sia la moneta o lo scambio della merce. Ma questo ci impone di riconsiderare tutta la storia della Magistratura repubblicana. E di ricordare con attenzione e senza la supponenza della “modernità” anche le opinioni di Vittorio Emanuele Orlando.

Non dovendo litigare (così si dice) con Luigi Di Maio, Salvini ha messo da parte il suo ruolo di buttafuori dei migranti. Un po’ perché al di là del Mediterraneo avranno scoperto che per negare loro lo sbarco ci vorrà un “concerto” di ministri (che di concerto non conoscono che quello della rissa), gli “imbarchi” sono aumentati e, con essi, gli sbarchi. Un po’ perché finalmente pare sia arrivata la bella stagione ed il mare un po’ più calmo, sono ripresi gli sbarchi che l’“effetto Salvini” aveva drasticamente ridotto. Il Governo va avanti. Almeno così sembra. Avrà altro tempo per altre cazzate e per procurarsi altri guai.

Tutti contenti? Col cavolo. Ma non c’è chi sostituisca questi buffoni. A proposito di sostituzioni: quella della Magistratura ai poteri politici nel loro complesso e di governo è, con gli scandali di Palazzo dei Marescialli, un’eventualità svanita, un progetto che è difficile che qualcuno voglia cavalcare. E questa è una buona notizia. Bisogna accontentarsi del male minore?


di Mauro Mellini