I giacobini al potere

venerdì 22 marzo 2019


Non scopriamo certamente ora che Mario Giordano, cantore di una Repubblica delle banane senza sprechi, condivide molte idee con il Movimento 5 Stelle. Tant’è che il nostro, ospite del talk-show mattiniero Omnibus, si è trovato assolutamente d’accordo con la stupefacente dichiarazione del guardasigilli Alfonso Bonafede sul caso dell’immediata espulsione dal Movimento 5 Stelle del presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito, arrestato per corruzione. “I fatti sono troppo gravi. Se anche fosse innocente non può restare con noi”. Questo in estrema sintesi il ragionamento che alcuni importanti quotidiani hanno attribuito all’attuale ministro della Giustizia.

Ora, a parte l’infelice costruzione del suo periodo ipotetico della possibilità, che vede la scomparsa del prezioso condizionale, l’idea che si possa equiparare la colpa politica a quella penale, tanto da giustificare la fucilazione simbolica sul posto determinata da una espulsione d’imperio, fa abbastanza rabbrividire. D’altro canto, onde trovare una spiegazione di natura psicologica all’entusiastica adesione di Giordano ad un provvedimento in stile giacobino, è possibile che in lui abbia giocato un retaggio di natura religiosa (la carriera comincia proprio con un settimanale di orientamento cattolico, “Il nostro tempo”). Un retaggio di quella visione di stampo medievale, ancora presente nella nostra società, tendente a far coincidere il peccato, in questo politico, con il reato.

Comunque stiano le cose, l’idea di espellere da un partito un proprio esponente per un arresto o un semplice avviso di garanzia, a prescindere da quelle fondamentali guarentigie che connotano le democrazie liberali, segnala che ancora una volta i grillini, in questo caso sostenuti da un Giordano in versione Marco Travaglio, si fanno scudo di quella sinistra religione giacobina la quale, ovunque sia stata applicata, ha creato solo ingiustizie e devastazioni. Tuttavia, essendosi da tempo incatenati all’eterna illusione del partito degli onesti, con annessa e assai presunta superiorità morale, i pentastellati si trovano praticamente costretti ad offrire al loro popolo da tempo in subbuglio la testa simbolica del De Vito di turno. Uno spettacolo deprimente che raggiunge il suo culmine con la sentenza di condanna senza appello pronunciata dal capo politico Luigi Di Maio: “Marcello De Vito è fuori dal Movimento 5 Stelle. Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico, e l’ho già comunicata ai probiviri”.

Decisione ampiamente condivisa dall’avvocato del popolo, alias premier Giuseppe Conte, il quale ha esaltato “la scelta coraggiosa e tempestiva” del ministro Luigi Di Maio. Ma, a mio avviso, così parlano i rappresentanti di una setta oscurantista e non certamente i membri di un Governo e di un partito che dovrebbero rispettare almeno le forme di un ordinamento civile. Ma questi sono i tempi e questi sono i costumi, ahinoi!


di Claudio Romiti