Toninelli fugge tra i banchi mentre c’è chi promette lavoro

sabato 9 marzo 2019


Un annetto fa rammentavamo che, qualsivoglia governo è chiamato a fare i conti con limiti d’impresa, cassa e giurisprudenza. E che nessuno dovrebbe mai promettere svolte occupazionali. Ma nemmeno sedersi tra i banchi dei deputati quando è ministro (il caso Danilo Toninelli) e perché si scivola inesorabilmente verso una visione poco rispettosa dei ranghi, delle gerarchie di potere, del giuramento fatto dinnanzi alla presidenza delle Repubblica.

Un ministro nella Prima Repubblica non ci avrebbe mai abituati all’adagio di sedere tra i banchi: obietterete che allora c’era un forte “centralismo democratico” in tutti i partiti, e che gli ordini apicali si rispettavano. Anche perché l’idea d’un ministro alla Subcomandante Marcos è davvero ridicola, e lascerebbe presagire che Toninelli teme il verdetto dell’elettorato: ergo, farebbe di tutto per non caricarsi la responsabilità di operare scelte e cernite sulle opere da fare e da dismettere. E poi evitiamo di dire agli italiani che i cantieri sarebbero prossimi a dare cinquecentomila posti di lavoro. Soprattutto quando c’è l’impresa che continua a ripeterci che non c’è più l’opportunità di remunerare il lavoro in Italia. In buona compagnia d’un sistema bancario europeo, che torna a sostenere gli italiani debbano lavorare gratis per almeno 15 anni, e perché si possa rilanciare impresa ed occupazione.

Il “made in Italy” ormai è nell’intero Pianeta tranne che in Italia: i buoi sono fuggiti, ed un governo travicello non sa cosa inventarsi per scongiurare il protrarsi dello sfruttamento schiavistico della manodopera. Il modello italiano, quello che prevedeva promesse di lavoro, ha perso: ha vinto la globalizzazione e le ricette di politica doganale (inventate negli anni ‘90) che non permettono al mercato interno di rianimarsi. Ne deriva che non è detto che le “grandi opere” le realizzino le imprese italiane usando esclusivamente manodopera italiana. È facile che l’Italia riesca ad accaparrarsi sul proprio territorio non più del 35 per cento degli appalti, il resto probabilmente lo vinceranno imprese a capitale misto francese, tedesco, olandese… e mettersi contro si tradurrebbe in pesanti sanzioni Ue.

In questo scenario schizofrenico, ben si comprende che il premier Giuseppe Conte abbia alzato i toni, richiamando a ben precise responsabilità sia i Gialli che i Verdi. E perché necessiterebbe aprire furbescamente dei cantieri affidati ad imprese solo italiane, ed in grado di far guadagnare lavoratori ed imprenditori del Bel paese. Ma per girare così la frittata ci vorrebbe una classe politica forgiata nella furbizia di Santa Dorotea (roba da vecchia Democrazia cristiana). Si da per scontato che un Toninelli si farebbe scoprire e metterebbe nei guai l’intero Esecutivo. Intanto, fonte Istat, il tasso di disoccupazione giovanile continua a crescere in Italia, e che chi perde un lavoro dopo i 35 anni è già non più reinseribile.

Con buona pace del “Reddito di cittadinanza”, abbiamo il livello di disoccupazione ed inattività più alto d’Europa. Soprattutto la maggiore competenza non è più a vantaggio dei percorsi professionali. Ricordate la storia dell’ingegnere nucleare che 20 anni fa lavorava in un McDonald’s di Torino? Oggi la Rete ci ha rivelato che s’accontenta di fare il pony express e, di tanto in tanto, di arrotondare con lezioni private di matematica. Mancano partiti a strutturazione sindacale, che facciano follie per mettere gente a lavorare, infischiandosene di limiti europei e di legge. Manca chi osa, mancano i politici preparati e forgiati anche nell’arte dell’impossibile, dell’arrangiarsi. Mancano i fatti. Oggi nessun politico sembra abbia sufficienti parole (o coraggio) per ammettere che il 60 per cento della popolazione non è più inseribile lavorativamente, e che necessita forzare la mano.


di Ruggiero Capone