Ex province siciliane, il re è nudo ma nessuno lo dice

mercoledì 6 marzo 2019


La morte delle ex province siciliane. Enti da tempo in rianimazione che non vedono uno spiraglio di luce per l’incapacità di una politica che non riesce (o non vuole?) a decidere il loro destino mettendosi sotto i piedi la Costituzione e la democrazia. Gli enti intermedi nella Costituzione ci sono ancora! Il referendum voluto da Renzi che avrebbe dovuto abolirli è stato sonoramente bocciato dal voto popolare nel 2016 e, a fronte di questo risultato, si persegue nel delittuoso disegno di bloccare la democrazia non rinnovando gli organi elettivi da 6 anni (Ragusa e Agrigento, addirittura dal maggio 2012). Neanche in Burundi accadrebbe una cosa del genere, in Sicilia invece sì. Nella terra di Pirandello tutto è possibile. E, cosa più grave, è che ormai nessuno si indigna più. La tipica rassegnazione dei siciliani? Come spiegare allora il paradosso delle ex province siciliane che subiscono dal 2014 il prelievo forzoso dello Stato, come contributo alla finanza locale (per il 2018 è stato di 277 milioni di euro), pagando un prezzo altissimo all’autonomia siciliana e al funzionamento di questi Enti che si trovano tutti in squilibrio finanziario (addirittura Siracusa ha già dichiarato il dissesto) e pronti ad un default collettivo che è nei fatti (e nelle cifre) ma che tutti si ostinano a non vedere.

Il dissesto delle ex province siciliane è strutturale perché addirittura questi Enti non hanno un euro di debito verso ditte e privati ma sono impossibilitati a chiudere i bilanci di previsione per la mancata e non prevista competenza finanziaria. Le ex province avrebbero potuto fare da sole sul piano finanziario se avessero potuto disporre delle risorse derivanti dalla RcAuto e dall’imposta di trasferimento di proprietà, se non fosse intervenuto quel prelievo forzoso dello Stato, giudicato peraltro ‘irragionevole’ anche dalla Corte dei Conti, che ha portato questi Enti sull’orlo del dissesto. Ma quello che è grave e inconcepibile è che tutti sanno qual è il problema ma nessuno muove un dito per risolverlo. Lo sa il governo nazionale che ha creato una disparità con le altre province italiane (spogliate dalla riforma Delrio di alcune funzioni e servizi e con relativo trasferimento dei dipendenti nei Comuni o nelle Regioni) segnando una discriminazione di fatto mortificante; e, lo sa, il governo regionale, che non ha avuto la forza e la volontà di correggere la riforma voluta in Sicilia dall’ex governatore siciliano Rosario Crocetta che, forte della sua sindrome istrionesca, aveva annunciato in tivù da Massimo Giletti la riforma delle riforme e, soprattutto, di essere il primo ad abolire le province. Di fatto, non le ha abolite. Si è limitato a cambiare solo il nome a questi enti, ora denominati Liberi consorzi comunali. Un insulto al buon senso e alla Costituzione. E il nuovo governatore Nello Musumeci che aveva fatto del rilancio delle ex province il suo cavallo di battaglia in campagna elettorale (forte della sua esperienza alla guida della provincia di Catania per dieci anni) ora allarga le braccia e ‘scarica’ le colpe sullo Stato predatore di risorse. E così si assiste all’ennesimo ‘balletto’ delle responsabilità tra Palermo e Roma e, viceversa, gli enti, ormai alla canna del gas, non riescono ad assicurare i servizi essenziali, come il funzionamento delle scuole, la manutenzione delle strade provinciali ridotte a trazzere, la sicurezza negli istituti scolastici quasi tutti sprovvisti della certificazione antincendi. Poi, alla prima tragedia, tutti si interrogheranno sulle responsabilità e sull’incapacità delle ex province di governare le emergenze. Come è accaduto con la tragedia di Rigopiano. Tra l’altro, un recente censimento operato dall’Unione delle province italiane, dopo la tragedia del ponte Morandi di Genova, sullo stato di salute di viadotti, ponti e strade gestite dagli enti intermedi, ha rivelato un dato agghiacciante: il 65 per cento delle opere gestite dalle province necessita di interventi urgenti di manutenzione.

Di fronte a questi scenari sinistri, il silenzio sembra prevalere, a parte qualche timida iniziativa parlamentare come quella firmata dalla Lega che ha presentato un disegno di legge in Senato (terzo firmatario l’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini) che punta a “ripristinare la legalità costituzionale attraverso l’elezione diretta a suffragio universale del presidente e dei consiglieri della provincia”.

La realtà invece è un’altra, paradossale e unica: bisogna ripristinare la democrazia. Interrotta per tanto, troppo tempo. E, soprattutto, occorre ridare dignità istituzionale alle ex province ‘condannate’ all’Inferno da ignavi governanti.


di Gianni Molè