Il Governo non chiarisce il regionalismo differenziato

Il regionalismo differenziato non può né deve realizzarsi tra ambiguità e reticenze, se non addirittura sotterfugi, alla stregua di “res inter alios acta”, cosa loro. Riguarda tutti gl’Italiani, non solo i lombardi, i veneti, gli emiliani, e gli altri che eventualmente decideranno di seguirli scegliendo alla carta sulla Carta. Finora, chi era tenuto a spiegare, e spiegare, e poi ancora spiegare, ha cospirato, lui malgrado, ad annebbiare i temi e i problemi, soprattutto i dettagli finanziari, confondendo la testa dei desiderosi di capirci qualcosa mediante acronimi ed espressioni apodittiche, come Lep, Lea, costi standard, residui fiscali, spesa storica, clausola d’invarianza e via nascondendo e offuscando. L’ennesima, clamorosa, prova di tutto ciò viene fornita da un siparietto parlamentare messo in piedi ad hoc allo scopo di fugare i dubbi sollevati e tranquillizzare l’opinione pubblica impaurita dalle potenziali conseguenze esiziali della riforma. Ottenendo tuttavia il risultato opposto.

È perciò indispensabile riportare gli atti parlamentari, parola per parola, in modo da poter pronunciare in piena coscienza la sentenza: “Ex ore tuo te iudico”!

Il Gruppo parlamentare della Lega nella Camera ha presentato al Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, la leghista Erika Stefani, l’interrogazione 3-00534, che segue:

“Per sapere, premesso che: in data 22 ottobre 2017 si è svolto il referendum consultivo in Veneto, deliberato dal consiglio regionale del Veneto per conoscere il parere degli elettori della regione circa l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia al proprio ente territoriale. Per l’efficacia della consultazione era richiesta la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto; nello stesso giorno si è tenuto un analogo referendum consultivo autonomista in Lombardia; in entrambi i casi i cittadini si sono chiaramente espressi per una richiesta d’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia al proprio ente territoriale, in base all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione; l’Emilia-Romagna ha scelto un percorso diverso, ma che si dirige sempre nella stessa direzione; un ulteriore passo in avanti è stato compiuto con la sottoscrizione in data 28 febbraio 2018 degli accordi preliminari in merito all’intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, tra il Governo e le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che prevede l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle regioni; il percorso intrapreso sul raggiungimento dell’autonomia differenziata sta proseguendo con la discussione in Consiglio dei ministri sui documenti delle intese delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna; le trattative con i Ministeri sulle richieste di attribuzione delle materie da parte delle regioni ai sensi dell’articolo 116 sembrano essersi concretizzate, nell’ottica di una valutazione equilibrata delle competenze statali e regionali; essere giunti ad un accordo con il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla parte generale relativa al finanziamento delle competenze da trasferire, rappresenta un passaggio decisivo, se non ritenga di dover chiarire quale sia il sistema di finanziamento del trasferimento delle competenze, come previsto dalle bozze di intesa con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, affinché siano previste adeguate garanzie sui livelli delle prestazioni nelle regioni che non hanno chiesto ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.

La ministra Erika Stefani ha così risposto:

“Prima di tutto voglio chiarire che quanto è stato scritto e detto sul fatto che le regioni che hanno chiesto l’autonomia toglieranno risorse alle altre non ha alcun fondamento. Chi lo afferma non conosce il percorso che stiamo facendo. Inizialmente, intanto, il prelievo fiscale trattenuto sul territorio sarà equivalente al trasferimento che oggi lo Stato destina alle regioni per le competenze esercitate in tale regione. Quindi, questo esclude totalmente l’ipotesi che le risorse siano sottratte agli altri territori. Il superamento della spesa storica verso i costi e i fabbisogni standard è la vera grande sfida per tutta l’Italia. Fabbisogno standard significa valorizzazione dell’efficienza ed efficacia dell’azione pubblica. È un processo che in realtà è già iniziato da anni e che oggi si vuole rafforzare nei confronti delle regioni in occasione dell’autonomia, quindi, differenziata. Tra l’altro, parliamo di un’autonomia soprattutto gestionale e amministrativa differenziata, che significa diversa e parametrata alle richieste e alle esigenze delle regioni. Da questi assunti, per certi versi, sembrerebbe quasi sorprendere la contrarietà ad una proposta, che, non mi stancherò mai di dirlo, in realtà è una grande opportunità per tutte le regioni. Portare il centro decisionale più vicino ai cittadini implica un controllo diretto e, quindi, una responsabilizzazione della politica nei confronti dei cittadini. L’autonomia è un vantaggio per certi versi diretto e indiretto, che riguarda tre fattori: quando una parte del ciclo fiscale sarà trattenuta in loco e sarà gestito da enti efficienti, questo si dimostrerà già un guadagno; le risorse possono essere gestite dalle regioni in modo mirato in base alla specificità delle problematiche delle esigenze locali e questo un altro guadagno; e con la responsabilizzazione diretta degli amministratori, ci sarà un’ulteriore qualificazione proprio dell’amministrazione, più responsabilità significa anche più competenza, terzo guadagno. Dal regionalismo differenziato trarrà, quindi, vantaggio tutto il sistema Italia: più le regioni trovano modo per favorire il proprio sviluppo e più il sistema ne avrà beneficio. Comprendo il timore nell’affrontare una novità, stiamo lavorando per dare un nuovo volto ad un sistema regionale italiano nel suo complesso, che punta proprio a sanare i divari, puntando sulle singole specificità. Su quel sistema di valori, le potenzialità regionali, fino ad oggi forse non valorizzate e forse anche umiliate, in nome di una omogeneità legislativa che ha di fatto, in realtà, creato un divario inaccettabile. Vogliamo, quindi, reinterpretare il rapporto fra lo Stato e le regioni, basandoci unicamente su quanto scritto e concesso in Costituzione. Non stiamo facendo nulla di stravolgente, stiamo garantendo un diritto a quelle regioni che ci dicono: so gestire al meglio questa competenza, la concorrenza normativa tra noi e lo Stato ci rallenta, ci blocca, dateci l’opportunità di dimostrare che sappiamo gestire questa competenza e che lo faremmo risparmiando denari. L’applicazione dei fabbisogni standard su tutto il panorama nazionale sarà una misura di grande efficientamento di tutta la spesa pubblica”.

Benché nella replica l’onorevole Simona Bordonali a nome del Gruppo si sia dichiarata totalmente soddisfatta (ovviamente, essendo leghista), si può seriamente affermare che la risposta della ministra sia davvero, pienamente, soddisfacente? No, non si può. Inoltre spiace dover constatare che la ministra ripropone, attualizzandoli, gli stessi vantaggi sperati, poco più di slogan, che il Parlamento ascoltò nel tripudio dei regionalisti e nello sconforto degli antiregionalisti durante la battaglia parlamentare del 1970 che, nonostante il terribile scontro, fu tutta una farsa recitata con i toni della tragedia, come ha svelato Cossiga nelle sue memorie. Quattro furono i motivi fondamentali addotti dalla stentorea maggioranza regionalista: attuare la Costituzione (22 anni dopo!), decentrare lo Stato, risparmiare sulla spesa pubblica, ridurre la burocrazia (impiegati e apparati). Vi fu pure chi illusoriamente aggiungeva: avvicinare lo Stato ai cittadini, accrescere la partecipazione popolare, responsabilizzare i politici e le amministrazioni. Per contro, le regioni, come appunto ha confessato Cossiga molti lustri dopo, “furono istituite per motivi eminentemente di equilibrio politico, non perché le si ritenesse necessarie per una migliore organizzazione dello Stato”. E gl’Italiani hanno dovuto constatare che non uno degli obiettivi è stato raggiunto, tutt’altro. Mentre i sondaggi ci dicono che la Regione è tra le istituzioni più screditate.

La Lega può a ragione essere definita il principale sponsor del regionalismo differenziato. Essa nega che, nelle intenzioni o nel risultato, questo regionalismo “gonfiato” possa essere il prodromo di una vera e propria secessione, mentre afferma che servirà a far funzionare meglio le cose nelle materie trasferite e ad economizzare le spese. Se così fosse, sarebbe tenuta pertanto a dimostrare come, quanto, perché. Invece, il contesto finanziario, presente e futuro, dell’operazione permane confuso e insicuro, sconosciuto in dettaglio al popolo e al Parlamento, che, secondo l’impostazione dei frettolosi entusiasti, non dovrebbe neppure avere il diritto di approfondire il testo delle intese, ma limitarsi a un sì o un no, prendere o lasciare. Non esiste motivo (se non “di equilibrio politico”, ancora una volta!) di accelerare senza ponderare il dovuto, e pure di più, “in un tema di questa portata”, come riconosce la ministra competente, che, contraddicendosi tuttavia, spinge e mette fretta con zelo piuttosto di partito che di politica generale, perseguendo un interesse piuttosto regionalistico che nazionale.

Aggiornato il 03 marzo 2019 alle ore 13:18