Abruzzo, la Lega trascina il centrodestra alla vittoria

lunedì 11 febbraio 2019


Il test elettorale dell’Abruzzo è stato utile. Bisognava capire lo stato dei partiti dopo dieci mesi dal voto delle politiche. La sintesi è che il centrodestra unito vince agevolmente, il centrosinistra in coalizione allargata recupera terreno, il Movimento Cinque Stelle crolla. Sarebbe semplice raccontarla così, ma non sarebbe tutta la verità che è ben più articolata di quanto appaia a prima vista.

Partiamo dal dato dei Cinque Stelle. La sconfitta è reale, anche se ha qualche attenuante. I grillini dimezzano i consensi rispetto a quelli ricevuti alle politiche dello scorso 4 marzo: 118.287 voti alla lista contro i 303.006 delle politiche. Il dato è in calo anche rispetto alle precedenti regionali del 2014 quando la lista Cinque Stelle totalizzò 141.152 preferenze. I vertici del Movimento si giustificano dicendo che da quando sono sulla scena il risultato delle amministrative non li ha mai premiati. Il che è parzialmente vero. Alle ultime europee, che in Abruzzo si tennero nello stesso giorno e nei medesimi seggi delle regionali, il partito di Beppe Grillo raccolse 200.699 voti, cioè circa 60mila abruzzesi il 25 maggio 2014 alle europee votarono Cinque Stelle e alle regionali in altri modi. Segno che il voto d’opinione finora ha premiato i grillini. Ma non basta a spiegare il crollo odierno che, verosimilmente, va posto in relazione con l’azione di governo targata Cinque Stelle non gradita agli elettori.

Un capitolo da approfondire riguarda la valutazione dell’apporto di Alessandro Di Battista al nuovo corso pentastellato. Per ora i risultati dicono che l’effetto scossa che il “movimentista” avrebbe dovuto imprimere all’attuale fase politica del suo partito non c’è stata. Al contrario, la sua discesa in campo appare assolutamente negativa. Il centrosinistra con 195.394 voti al suo candidato si può dire che se la sia cavata. Il nome di Giovanni Legnini, persona stimata e conosciuta sul territorio, ha rappresentato il valore aggiunto. L’ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura ha portato un’improbabile coalizione di totalmente diversi ad un lusinghiero 31,28 per cento, ben al di sopra dei Cinque Stelle. Tuttavia, il risultato del Partito Democratico, forza trainante, del rassemblement è drammaticamente basso. Un 11,14 per cento che solo parzialmente viene lenito dal 5,55 per cento raccolto dalla lista personale di Legnini. Dicono dal Nazareno che la presenza di una folta schiera di liste civiche locali in coalizione non poteva non ripercuotersi sul voto alla lista piddina. In realtà, non è così perché anche alle precedenti regionali del 2014 il Pd aveva scelto di correre con la formula dell’ampia coalizione. Sotto la bandiera del centrosinistra si raccolse il medesimo numero di liste presenti domenica scorsa, con l’aggravante che la sinistra radicale nel 2014 si presentò in autonomia rispetto alla coalizione, mentre questa volta la sinistra radicale di Leu è entrata nell’area di sostegno al candidato unico Legnini. Ebbene, il Pd questa volta in voti assoluti ottiene 66.769 contro i 171.520 del 2014. Più che Legnini a noi sembra una legnata.

Ma veniamo al centrodestra. Ottimo il risultato complessivo e, neanche a dirlo, eccellente il lavoro della Lega che si conferma il partito trionfatore di queste elezioni. Matteo Salvini e i suoi hanno battuto tutti i record statistici. Pur non esprimendo il candidato presidente hanno ottenuto 165.008 preferenze che corrispondono al 27,53 per cento del totale. Un colpaccio se si considera che appena dieci mesi orsono, alle politiche, il dato della Lega si era fermato a 105.449 voti, che già sembrava una sorta di miracolo elettorale. Circa 60mila voti in più dati dagli abruzzesi nel chiaro convincimento che un buon governo del territorio da parte del centrodestra vi sarà solo a condizione che sia il partito di Salvini a garantirne la spinta propulsiva. Non altri. In particolare, non Forza Italia.

Per il partito di Berlusconi la domenica d’Abruzzo si è trasformata in un’impietosa Caporetto. Forza Italia inanella 54.223 voti di lista che sono la metà dei consensi ottenuti alle politiche del 4 marzo scorso. Per non parlare della distanza dalle Regionali del 2014 quando i voti alla lista furono 112.316. Nel computo del 48,03 per cento dato domenica dagli abruzzesi al centrodestra, Forza Italia concorre al risultato per il 9,04 per cento. Forse sarebbe giunto il momento che il movimento azzurro ripensasse seriamente alle sue scelte politiche e, in particolare, riconsiderasse la svolta centrista impressa dall’ala vetero-democristiana del partito berlusconiano proprio nel momento storico nel quale non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa spira un solido vento di destra.

I big forzisti, in queste ore, insistono a mettere l’accento sul risultato di coalizione cercando di oscurare quello di partito. Non ha senso un comportamento del genere. Anche perché, al momento, l’idea di trasferire sul piano nazionale il buon esito di un’alleanza è una suggestione che non incrocia la realtà. E poi, su quale piattaforma politica si dovrebbe ricompattare la coalizione, visto che la Lega sta intensificando le intese con il partner di governo pentastellato? Pensare che si possa replicare meccanicisticamente a Roma l’esperienza delle regionali è come giocare al fantacalcio. Al momento non vi sono i presupposti per un rimescolamento delle carte in ambito nazionale, ma non è detto che ciò non possa realizzarsi in seguito.

Molto dipenderà dalla strategia che ha in mente Giorgia Meloni per la sua formazione. Di certo la conquista del primo presidente di regione ascrivibile al suo partito la rende tonica. Anche il 6,50 per cento raggiunto dalla sua lista l’aiuta a vedere rosa il suo futuro politico. In particolare quei 16.511 voti raccolti nella provincia de L’Aquila, che lasciano parecchio dietro gli 11.653 di Forza Italia, oltre che rappresentare un pugno nello stomaco a Silvio Berlusconi che per quel territorio si è speso tanto, sono il segno di un apprezzamento per il lavoro che il partito di Fratelli d’Italia a discapito di una classe dirigente locale di Forza Italia che non si comprende dove sia finita. Qualora Giorgia Meloni dovesse concretizzare il progetto di fare di Fratelli d’Italia la seconda gamba del centrodestra, per Forza Italia si porrebbe un serio rischio emorragia dei quadri intermedi e periferici non auspicabile alla vigilia della madre di tutte le battaglie: le elezioni europee. Per adesso aspettiamo di vedere cosa accadrà tra due settimane alle elezioni regionali in Sardegna. E poi ne riparleremo.


di Cristofaro Sola