Un po’ di chiarezza sull’abuso d’ufficio

venerdì 4 gennaio 2019


Non credo che Leoluca Orlando rischi veramente qualcosa rifiutandosi di applicare il “Decreto sicurezza” per ciò che riguarda l’iscrizione anagrafica dei migranti il cui permesso di soggiorno venga a scadere. Tra gli infiniti casi di abuso dell’applicazione del reato di abuso d’ufficio avremo così l’abuso della mancata sua applicazione.

Quale che sia il valore intrinseco della giustificazione del rifiuto di applicare la legge da parte del sindaco di Palermo, è certo che la sua presa di posizione (“non applico la legge perché è disumana”) è l’espressione di un proposito che, se realizzato, porrebbe in atto il reato di cui all’articolo 323 del Codice penale nella pienezza di tutti i suoi elementi obiettivi e soggettivi previsti dalla legge, quali non si riscontrano nella gran parte della contestazione che del reato stesso disinvoltamente fanno sfoggio (abusando del loro potere e con ciò rendendosi responsabili – ma non di fatto censurabili – proprio, di tale reato).

Il reato di “abuso in atti d’ufficio” (articolo 323 c.p.) ha una “struttura” complessa, della quale volentieri i pubblici ministeri e anche altri magistrati dimenticano l’essenzialità di taluni non secondari elementi. Ho detto che “comporterebbe la consumazione del reato di cui all’articolo 323 c.p.”. Ma non mancherebbero le scappatoie (se così è lecito definirle), perché basterebbe dimostrare (cosa non difficile) che non è per assicurare ai migranti iscritti all’anagrafe dei residenti un vantaggio patrimoniale, ma per evitare ad essi le tribolazioni del protrarsi dell’attesa della decisione sulla proroga del permesso di soggiorno scaduto, che non potrebbe parlarsi più di reato.

Una prima considerazione va fatta. L’iscrizione “abusiva” che è (sembra) nei propositi di Orlando è infatti un “rimedio” ad un disservizio dello Stato (ministero degli Interni) che ritardando la decisione sul riconoscimento del diritto di asilo non abbia, fatto o respinto nel tempo di durata del permesso di soggiorno e non assicuri che l’eventuale decisione giudiziaria contro la mancanza della decisione amministrativa avvenga in termini temporali tali da renderla qualcosa di diverso da una beffa.

Leoluca Orlando, ottenuta la pubblicità dei titoli dei giornali sulla sua dichiarazione di “obiezione di coscienza”, ha però preso le sue precauzioni per una ulteriore neutralizzazione della legge penale (323 c.p.) nei suoi confronti e nei confronti dei suoi ipotetici correi (non giustificati dall’aver obbedito ad un ordine illegittimo del sindaco) chiedendo all’Ufficio Anagrafe una relazione sui termini legali della questione. Chi vivrà, vedrà.

Detto ciò, e fatti i dovuti complimenti ad Orlando per la generosità del gesto e per i prudenti accorgimenti per assicurarsi (non è un picciotto o sindacastro qualsiasi) l’illibatezza penale, passiamo a considerare che per molti altri sindaci che non sono Leoluca Orlando e parlano e si muovono senza la scorta armata dei pareri di buoni avvocati perché non possono permetterselo, il reato d’abuso d’ufficio diventa una minaccia dei P.M. perché viene disinvoltamente contestato ogni volta che, nell’intricato labirinto delle leggi e disposizioni amministrative, un sindaco, un presidente, un funzionario sbagliano nell’applicare una legge piuttosto che un’altra. O così ancor più disinvoltamente, si sostiene. Violazione di legge=abuso della legge. La classica bufala.

In altri tempi, uno studente sarebbe stato bocciato per aver fatto una simile affermazione all’esame di diritto penale. Ma, adottati i criteri della “giustizia di lotta” e dilatato il concetto di essa alla pratica del terrorismo giudiziario (incriminano uno per spaventarne molti) l’assurdità della identità dei due concetti è cosa fatta.

Certo, non tutti i sindaci, presidenti e funzionari (e “incaricati di pubblico servizio”) hanno la possibilità di sfoderare la grinta di Matteo Salvini anche a fronte di “abusi d’ufficio” (e cavolate peggiori) del calibro del sequestro di persona mediante mancata accoglienza. Per il quale, del resto, fu da molti “consigliato” di “rispettare” (!) i pm.

Concludendo: l’”abuso d’ufficio” è un “reato di frontiera”. Della frontiera controversa e contesa tra la Magistratura ed altri poteri e funzioni dello Stato. E oggi che la Magistratura è divenuta partito, frontiera delle nostre già malridotte libertà. Una frontiera alla quale, a difendere quelle nostre libertà pare che pochi abbiano la voglia di accorrervi. Se non per esercitare lucrosi contrabbandi. Ci fosse almeno da sperare che, essendo una questione dei migranti invece che dei cittadini italiani, si scopra finalmente dove, in effetti ha da passare il confine, il limite della fattispecie penale. Sperare, certo. Ma operare per realizzare quelle speranze.


di Mauro Mellini