Altro che Presepe

Mentre da noi si discute di presepe, si polemizza inutilmente sulle frasi del ministro Matteo Salvini in visita in Israele, purtroppo e drammaticamente il terrore di matrice islamica colpisce ancora.

Isis, lupi solitari, cellule sparse, sia quel che sia, ma sempre di radicalizzati jihadisti si tratta, ecco perché la guardia va tenuta alta, in tutti sensi nessuno escluso. Serve la massima attenzione, dai vergognosi episodi di antisemitismo, agli attacchi antioccidentali, nulla può essere trascurato e non si tratta solo di intelligence, che da noi è attrezzatissima e capace, si tratta di regole, parole, comportamenti. Quando la democrazia è sotto attacco, quando l’intero impianto della libertà è minacciato, quando il nostro senso del diritto è messo in pericolo, anche la riflessione sulla tolleranza va approfondita. Qui non si tratta di tirare in ballo Oriana Fallaci, che pure per noi aveva e ha ragione da vendere, ma di capire la differenza fra debolezza e tolleranza, di capire il senso della reciprocità. Del resto, perché mai dovremmo tollerare ciò che all’inverso non sarebbe tollerato, perché ci sentiamo in obbligo di accettare ciò che mai ci sarebbe consentito, perché insistiamo a far passare per tolleranza una evidente debolezza.

Qui non serve la gara ipocrita a dimostrare quanto siamo aperti e accoglienti, occorre la forza di affermare la non negoziabilità delle regole, quelle che abbiamo sudato e conquistato con secoli di lotte e di fatica, diritto e libertà. Ecco perché è assurdo discutere del Presepe, dei nostri simboli cristiani, al contrario dobbiamo dire e far capire senza tentennamenti che da noi è così e basta. Non si discute la nostra tradizione, né la nostra convinzione. Non si può far passare per sensibilità, accoglienza e senso dell’integrazione il ripiegamento e la rinuncia alla nostra storia, alla nostra cultura, solo provarci sa d’ipocrisia e di sottomissione. Chi viene da noi, chi ci vuole stare, deve conoscere le regole che ci siamo date, quelle della nostra convivenza, piuttosto che cercare di farcele cambiare, perché incompatibili con questo o quel pensiero, questa o quella religione.

Insomma, non ci giriamo intorno, continuare a scivolare su tutto, a modificare per non urtare, a non dire per non disturbare, a trovare ogni accomodamento, sta diventando una sorta di sottomissione, e non va bene e nulla c’entra con l’integrazione. Oltretutto l’integrazione senza la reciprocità è un non senso, basterebbe fare un giro negli stati etici per capire, per funzionare l’integrazione deve essere bilaterale, altrimenti è sottomissione, oppure peggio: sopraffazione.

Del resto solo l’incontro evita lo scontro, ma qui siamo solo noi a cedere e a tendere la mano, ecco perché va ripensato e approfondito il concetto d’accoglienza, il modo d’integrazione, di convivenza e vicinanza dei pensieri. Ecco infine, perché tenere alta la guardia è anche un fatto culturale, di filosofia del diritto, e della storia della democrazia, accettazione delle regole di un Paese, di controllo sociale, di accoglienza sostenibile . A buon intenditor poche parole e nulla più.

Aggiornato il 12 dicembre 2018 alle ore 10:54