La riflessione dei Corsari

La riflessione dei Corsari della Libertà riparte dalla parola, dal dialogo, dal contraddittorio. Chiunque, perciò, secondo la visione politica corsara, ambisca all’affermarsi di uno “Stato liberale”, dove i diritti e doveri siano congiunti, dovrà fare molta attenzione a qualsiasi supremazia, a qualsiasi “classe sociale” essa appartenga, comunque e dovunque essa si mostri; avendo chiaro il concetto che ogni preminenza necessita dei pesi e contrappesi, così come le fondamenta per essere potenti necessitano dei contrafforti; tutti strumenti molto utili e importanti per una democrazia liberale, se bene utilizzati.

Diffondere e ampliare la cultura umanistica, a tal proposito, dovrebbe essere lo slogan che ci accomuna, in quanto si tratta di una cultura politica portatrice di fattori dialoganti, e forse, (valga come nota a margine) se insieme a tutta questa scienza specialistica e tecnologica, (il “Pensiero Verticale”) si aggiungesse una diversa visione dello stato delle cose, cioè il “pensiero laterale”, quello della fantasia, della creatività, dell’immaginazione, della visione politica, dell’arte e della poesia, il tutto miscelato insieme: ciò apporterebbe un maggiore equilibrio nello “stato di salute” di tutti. Perché Bellezza, in genere, significa anche “equilibrio” e “vivere in bellezza”, solitamente, genera appunto felicità.

Si dovrebbe, insomma, accettare serenamente il “congegno” del paradosso, dell’antinomia, del dissenso; in altre parole, delle contraddizioni, ritornando all’utilizzo delle figure allegoriche, ad un maggiore impiego degli esempi, delle metafore, delle similitudini, sia nella dialettica politica che nel quotidiano. Una rimpatriata in altre parole, con tutte le cose e gli elementi di fatto già esistenti nella vita, nella natura, nell’incoerenza dell’algoritmo, e anche in un agognato (sognato) Stato Liberal-Democratico. I Corsari, inoltre, denunciano anche la forte riproposizione del meccanismo dell’incapacità, cioè l’inadeguatezza di chi commette un errore grave o, peggio, uno sbaglio gravissimo, eppure oggi viene sistematicamente messo nella condizione di ripeterlo. Uno Stato liberale e libertario sa “pesare”, infatti, sbagli ed errori con la bilancia non truccata dei diritti e dei doveri, con i codici di giustizia equidistanti dalla politica, con le statistiche e i calcoli matematici verificati, ma anche con il buonsenso, le esperienze e la cultura. Quella cultura che, per essere autentica, dovrebbe unire, pur mantenendo (come dicevamo) i piani separati, evitando che minestroni, anche buoni, siano troppo carichi di sale e che marmellate senza etichetta siano cucinate con chissà quali frutti.

Le buone ricette dovrebbero essere riportate, in chiaro, nel “manuale del sapere”, e ri-lette spesso nei libri di storia e in quelli di filosofia, anche se le cose migliori si possono riscontrare soprattutto nelle pubblicazioni d’arte. Quelle dove il concetto del “vivere in bellezza”, sia lo stesso identico del suo inverso, la “bellezza del vivere”. Sono principi basilari da sempre raccontati da chi conosce la materia esistenziale, i sapienti, (i saggi), che l’hanno studiata, vissuta, e successivamente capita. Si dovrebbe diffidare di coloro che utilizzano solo le scorciatoie del sapere saputo, attenendosi ad informazioni “precarie”, riportate sui “Bignami” o anche su Google e Wikipedia. Questi improvvisati “riportatori” di succinte ed indecenti informazioni, sono così nella condizione (è vero) di sapere alcune cose d’incerta provenienza ma, in realtà, poco conoscono dell’attendibilità di ciò di cui parlano; un po' come succede con coloro che pur guardando “non vedono”, pur vedendo non guardano e che pur udendo non ‘sentono’. E’ una categoria di strane persone che non amano quelli che “conoscono”, non amano quindi  “i diversi da loro”, gli studiosi, quei bizzarri personaggi (troppo sottostimati) che hanno appreso come si costruisce un discorso; che sanno edificare, con pazienza, discorsi ragionati, tirati su collegialmente, per ruoli e funzioni distinte, così come dovrebbero essere (appunto) i piani del discorso, dove le responsabilità sono divise e condivise. Dove uomini e donne possano dialogare, appoggiando le frasi sui pensieri e questi sulle riflessioni essiccate dai pregiudizi, ma rinforzate dalle esperienze verificate a “saldo attivo”, dove il conguaglio del positivo e negativo riporta il segno più. Perché se è vero che la ricerca (Flaubertiana) “del termine giusto”, è sì lunga e faticosa e non sempre offre “risultati proustiani”, pure evita che ci si regalino sproloqui autoreferenziali di cui non sentiamo proprio il bisogno.

Di “cantastorie” (senza valide storie) ne abbiamo a sufficienza. Una vera Rivoluzione copernicana, nel senso della “ricerca”, porterebbe, in una unione più coraggiosa di liberi cittadini e dei loro rappresentanti, svincolati questi ultimi (magari a fatica) dalle greppie a cui troppo spesso sono incatenati. Sognare una unificazione riformatrice e garantista, dove leggi giuste siano assolutamente chiare sui diritti e doveri di tutti, governanti e governati, non è peccato e, se lo fosse, sarebbe veniale. Suggeriamo una ripartenza dall'abbecedario della politica, per avere tutti un linguaggio comune, finalmente comprensibile, che riparta dai perché, e dai per come, dai dove e dai quando, abbandonando il fatuo compiacimento di sé stesso, quel piacere perverso che alcuni esprimono con un incomprensibile parlare molto più simile a un gargarismo che ad una informazione corretta. Alla faccia dei significati e dei significanti, delle “parole chiave”, della semantica, della semiologia, della semiotica, e soprattutto del “Triangolo di Ogden”.

È lecito sognare una politica libera e liberale, corretta, in cui il progetto “nuovo” tenga conto del “contesto” esistente dove questo dovrebbe inserirsi ed operare. Crediamo che, per eseguire azioni politiche più idonee ed adeguate ai problemi delle persone, e non del partito, che è pur sempre un’associazione tra privati, (che spesso permettono il barbaro saccheggio del pubblico) si debba passare necessariamente attraverso riflessioni oggettive condivise, che sarebbero quindi per questo maggiormente risolutive.

Avremmo bisogno, insomma, di una visione generale più ampia e non più così strettamente parcellizzata, ripartendo dalla conta dei nostri punti forti e di quelli deboli, migliorando i primi e rinforzando i secondi, con allenamenti e diete idonee per raggiungere, passo passo, obiettivi congiuntamente prefissati. Si può fare, attraverso le tecniche valide e consolidate dell’architettura, delle scienze delle costruzioni, rispettando validi schemi di fattibilità ben studiati. Con il dialogo. Questo disegno, da realizzare con il supporto di chi è capace, non sarà però il frutto di scelte a caso fatte per accontentare combriccole di vari colori, interessate solo alle loro tasche. Sarà, al contrario, un progetto analizzato con cura da chi abbia già “dimostrato”, con le medaglie al valore civico, di avere autentiche competenze in merito, senza condizionamenti di tessere di un qualche partito. Un metodo giusto, dovrebbe essere simile a ciò che si fa quando un motore è guasto; questo dovrà prima essere “scomposto”, per esaminare cosa non va, per poi essere “ricomposto”, magari aggiungendo elementi nuovi e funzionanti al posto di quelli rotti o inefficienti. Non si tratta di tecnicismi, ma di capacità politica, di preparazione politica, di cultura politica. Certamente, per questo “servizio al paese” serviranno “meccanici” competenti (e non improvvisati) da inserire in questo nostro apparato amministrativo così deteriorato. Si potrebbe allora ricostruire un edifico politico diverso da quello attuale, un fabbricato che soddisfi meglio i cittadini, rendendoli più felici, anche quando fossero traslocati su un “campo altro”, ma decisamente meno inquinato. Futuribile. Abbandonare allora senza rimpianti, il “vecchio campo”, per bonificarlo, riseminarlo e renderlo produttivo, sarebbe possibile, in omaggio ai principi fondanti della nostra storia democratica e della nostra arte, che è il principale elemento della nostra cultura, quella basata sulla bellezza del “vivere meglio”, oggi purtroppo scomparsa. Ripetiamo, dispersa nel mare dell’ovvio e del banale, dove, disgraziatamente, prosperano (contenti) solo i predatori– predicatori che speculano, (appunto), sugli equivoci, le menzogne, e le false promesse che generano invidia sociale, aiutati da quei sacerdoti del nulla, assolutamente indifferenti direi sprezzanti, nel “non” promuovere né la pace pubblica né la contentezza dei cittadini. Per questo motivo, (molti pensano) siamo ancora così invischiati in inutili scaramucce senza fine. Ci è stata sottratta l’intelligenza dello stare insieme per ragionare insieme.

I Corsari credono fermamente che studiare la vita e la storia degli uomini e donne illustri che hanno lasciato un segno nella politica “alta”, farebbe bene a molti, politicanti (e non), per cui il loro lavoro sarebbe meno supponente, meno aleatorio, meno arrogante, meno imbarazzante, meno giocato sulla perfidia e, soprattutto, sarebbe davvero molto meno offensivo per tutti noi. Il mondo apparirebbe diverso e magari più colorato, invece che in bianco e nero!

Se solo riuscissimo miracolosamente ad invertire questa deleteria tendenza nell’imitare i “modelli bassi”, promuovendo invece, quei rari ma virtuosi esempi di atteggiamenti rispettosi del sapere, sottolineando maggiormente quei comportamenti “maieutici” inneggianti alla responsabilità civica, forse i ragazzi e gli studenti, (questi esempi virtuosi), potrebbero riprodurli. Si arriverebbe (forse) ad una pace “disarmata” in questa “guerra di tutti contro tutti”, dove ogni singolo – purtroppo – “diventa lupo per gli altri uomini”. Allora, con la ragione e con il rispetto che si deve l’uno all’altro, se non la pace, si potrebbe stipulare almeno un patto nonviolento, insieme, un comune accordo, un’alleanza per affamare il “Leviatano”. Questo mostro insaziabile che tutto ingoia e che quanto più gli dai, più vuole. Si ritroverebbe allora un’insperata, indispensabile libertà soggettiva.

La Libertà è quello che più occorre per produrre un reale “bene collettivo” per un innovativo “contratto sociale”. Di certo una vera libertà, anche intellettuale, unita alla onestà spirituale, sarebbe molto utile per riaffermare una nuova cooperazione tra le scienze tutte ed i suoi contrafforti, indispensabile per una corretta interazione letteraria-linguistica con la politica.  Troveremmo tutti intelligente e pratico che tecnicismi e tecnologie avessero contrappesi umanistici. Forti contrappesi politici. Allora, “l’arte del governo”, difficilmente non potrebbe non tenerne conto. I criteri umanistici potrebbero così riavere indietro lo spazio che gli compete, favorendo una “politica” finalmente con la “P” maiuscola. Una “Politica” che ridiventi soggetto e non più complemento oggetto, e, (mi sento di scommettere) la popolazione diserterebbe ancora di più questo desolante palcoscenico delle piccole e squallide furbizie burocratiche-politiche, recitate da pessimi attori dai ridicoli atteggiamenti da prima donna. I cittadini si riapproprierebbero dei luoghi dell’“Agorà”, partecipando attivamente ad una migliore e competente “gestione” della vita quotidiana; indicando i percorsi, ritenuti più convenienti (senza buche, né trappole, né incroci pericolosi), che li renderebbero soddisfatti di essere stati ascoltati, sentendosi a proprio agio in un dialogo leale finalmente ripristinato.

 

 

 

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 19:45