(Anti)razzismo e paura delle parole

lunedì 12 novembre 2018


Ho già scritto dell’onorevole Giuseppe D’Alema, padre del più noto e simpatico Massimo D’Alema, che, deputato comunista quando io ero a Montecitorio, era uno dei più fieri lanciatori di invettive contro noi Radicali. Lo ricordo bene urlare verso di noi le accuse più incredibili. Col dito accusatore proteso lo ricordo inveire “siete i servi delle banche…israeliane”. Si capiva chiaramente che era stato per dire altro: “…delle banche ebraiche”. Ma la parola assai meno imbecille che non aveva pronunciato gli era in extremis sembrata troppo corrispondente al lessico dell’antisemitismo più becero. Tra il più razzista ed il più imbecille, l’onorevole comunista aveva preferito quest’ultima classificazione.

Ridotto ad un maldestro giuoco di assurdità lessicale, l’antirazzismo e l’antiebraismo divenivano ancor più deprimenti. Paura di essere razzisti per il fatto di ammettere diversità antropologiche, di carattere, di cultura, di fede religiosa. Così il razzismo più o meno cosciente o latente ha marchiato anche le coscienze di chi razzista non lo è affatto e ha trasformato in ingiuria ciò che è diversità rispettabile.

Ho avuto modo di scrivere che durante la guerra e l’occupazione nazista un contadino del mio paese d’origine non sapeva darsi pace perché di due prigionieri di guerra evasi l’8 settembre da un campo di concentramento non lontano, che, a rischio della propria pelle nutriva e nascondeva nelle campagne: due americani, “uno bianco e uno nero”, “quello bianco” gli aveva fatto notare che aveva offeso “quello nero”, suggerendogli perché “nero”, una maggiore prudenza per non farsi notare. Meravigliato si era inteso dire: “Tu lo hai offeso… gli hai detto nero…”. “E che non è nero?”, si ripeteva il buon mio compaesano. Per lui, il meno razzista di tutti noi, il colore della pelle, cosa naturale, non era concepibile fosse ragione di discriminazione ed offesa.

A tutto ciò pensavo in una notte insonne ascoltando una trasmissione televisiva sulle aste dei containers non regolamentari ritirati nel porto di New York. Tra i concorrenti lo speaker continuava a dire “gli israeliani”, “gli israeliani”. Che a concorrere abitualmente alle aste nei porti d’America andassero dei cittadini dello Stato di Israele è cosa sicuramente impossibile, quasi quanto le elargizioni delle banche israeliane a favore dell’allora Partito Radicale del linguaggio di D’Alema Senior. Nella versione originale sarà stato un gruppetto di speculatori ebrei, attivi in ogni ramo dell’economia degli Stati Uniti. Ma il traduttore in italiano deve avere la convinzione del D’Alema padre. “Ebreo” è per lui una sorta di insulto razzista. I concorrenti “ebrei” diventano così per non turbare il fragile e contorto antirazzismo all’italiana, un’offesa da evitare. E quei bravi giovanotti concorrenti alle aste dei containers non sono più americani, ma cittadini del lontano Stato del Medio Oriente Mediterraneo.

Chi è razzista…?


di Mauro Mellini