La crisi di sopravvivenza dell’Europa

martedì 6 novembre 2018


“La possibilità che l’Europa diventi un museo o un parco di divertimenti culturale per i nuovi ricchi della globalizzazione non è fuori luogo”.

Questo spunto di riflessione sull’Europa vista come un parco a tema culturale è stato offerto dal compianto storico Walter Laqueur, il quale, per la sua previsione lungimirante sulla crisi europea, è stato definito il “pessimista indispensabile”. Laqueur è stato uno dei primi a capire che l’attuale situazione di stallo in cui si trova il continente va ben oltre l’aspetto economico. Il punto è che i giorni della forza europea sono finiti. A causa dei bassi tassi di natalità, l’Europa sta diminuendo drasticamente. Se i trend attuali continueranno, ha asserito Laqueur, fra cento anni la popolazione europea “sarà solo una minima parte di quello che è ora, e in duecento anni, alcuni paesi potrebbero essere scomparsi”.

Purtroppo, la “morte dell’Europa” si sta avvicinando, sta diventando più visibile e gli scrittori famosi ne parlano con maggiore frequenza.

“In un momento in cui la letteratura è sempre più emarginata nella vita pubblica, Michel Houellebecq ci ricorda che i romanzieri possono fornire intuizioni sulla società come gli esperti e gli opinionisti non fanno”, ha scritto il New York Times in merito a quello che forse è il più importante scrittore francese. Houellebecq “parla” attraverso i suoi romanzi best-seller, come Sottomissione, o le conferenze. E l’ultima conferenza che ha tenuto a Bruxelles – in occasione del conferimento del Premio Oswald Spengler, per commemorare l’autore di Il tramonto dell’Occidente– è dedicata a questo argomento. “Per riassumere, ha detto Houellebecq, “il mondo occidentale nel suo insieme si sta suicidando”.

Perché l’Europa è diventata così ossessionata dalla propria demografia in declino e da una crescente immigrazione fertile dall’Africa?

Secondo Ross Douthat, che scrive sul New York Times, “gli sforzi per controllare la popolazione sostenuti dall’Occidente nel mondo in via di sviluppo” vengono rimessi in discussione per tre motivi: “Perché i tassi di natalità non sono rallentati così velocemente come gli esperti occidentali si aspettavano, perché i dati demografici europei seguono la legge di Macron verso la tomba e perché i leader europei non sono più così ottimisti riguardo all’integrazione dei migranti come lo erano pochi anni fa”.

Douthat si riferisce a due discorsi del presidente francese Emmanuel Macron. Nel 2017, Macron parlò di problemi “di civiltà” dell’Africa e criticò il fatto che [alcuni paesi africani] “hanno sette-otto figli per donna”. In un secondo discorso pronunciato a un evento organizzato alla Bill & Melinda Gates Foundation nel settembre scorso, Macron ha detto: “Presentatemi una donna che ha deciso, essendo perfettamente istruita, di avere sette, otto o nove figli”. La questione che Macron ha sollevato implicitamente è la seguente: come può l’Europa gestire i propri cittadini istruiti con i loro bassi tassi di natalità, mentre si trova a dover far fronte alla massiccia immigrazione africana e mediorientale con i relativi tassi di fertilità elevati? Si direbbe che l’Europa sia impegnata in una lotta demografica con il resto del mondo e che possa solo perdere. Nell’affrontare questa sfida esistenziale, una spirale discendente in cui gli europei sembrano lentamente estinguersi non riuscendo a riprodursi, pare che l’Europa abbia anche perso ogni fiducia nei valori dell’Illuminismo conquistati a caro prezzo, come le libertà personali, la ragione e la scienza che sostituiscono la superstizione e la separazione tra Stato e Chiesa. Questi valori sono di fondamentale importanza se l’Europa vuole davvero sopravvivere. L’illustre storico Victor Davis Hanson ha scritto di recente: “Giudicando dalle grandi opzioni storiche del potere di una civiltà – carburante, energia, istruzione, demografia, stabilità politica e potere militare – l’Europa sta calando. Sta spendendo l’1,4 per cento del suo Pil collettivo in difesa. (...) E con un tasso di fertilità inferiore a 1,6 per cento, l’Europa si sta restringendo e invecchiando – da qui la miope politica in materia di immigrazione di Angela Merkel, che sembrerebbe considerare l’immigrazione anche come una soluzione alla crisi demografica e come una scorciatoia per la manodopera a basso costo”.

Tuttavia, come ha scritto Walter Laqueur, “anche se il declino dell’Europa è irreversibile, non vi è alcun motivo per cui dovrebbe trasformarsi in un collasso”.

Ma come evitare questo collasso?

In un recente summit dell’Unione europea, il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, leader della Lega, il partito anti-immigrazione, ha dichiarato: “Ho sentito da qualche collega dire che c’è bisogno di immigrazione perché la popolazione europea invecchia, io ho una prospettiva completamente diversa. Io penso di essere al governo e di essere pagato per aiutare i nostri giovani a tornare a fare quei figli che facevano qualche anno fa e non per espiantare il meglio dei giovani africani per rimpiazzare i giovani europei che per motivi economici oggi non fanno più figli. Magari in Lussemburgo - prosegue Salvini - c’è questa esigenza, in Italia invece abbiamo l’esigenza di aiutare i nostri figli a fare degli altri figli e non ad avere nuovi schiavi (dall’Africa) per soppiantare i figli che non facciamo più”.

Poi, replicando direttamente a una interruzione del ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, Salvini ha aggiunto: “Rispondo pacatamente al suo punto di vista che non è il mio. Se in Lussemburgo avete bisogno di nuova immigrazione, in Italia preferisco aiutare gli italiani a tornare a fare figli”.

Evidentemente Salvini sa cosa aspettarsi dal futuro dell’Italia. A condizioni invariate, la popolazione italiana potrebbe crollare, arrivando a poco più di 16milioni di abitanti a fronte dei 59milioni attuali. Questa proiezione inquietante è emersa quest’anno al “Festival della Statistica e della Demografia”, dove il professor Matteo Rizzolli dell’Università di Roma ha detto: “Perché ciò si verifichi tra cento anni, anche se già tra 20 anni saremo comunque 8 milioni in meno - ha detto il prof. Matteo Rizzolli della Lumsa di Roma - è sufficiente comportarsi come adesso, cioè non fare nulla per favorire la natalità e dare sostegno alla famiglia”.

L’establishment europeo è quindi perfettamente diviso fra i cosiddetti “europeisti”, i quali credono che i nuovi migranti siano necessari per fermare il declino demografico, e gli “euroscettici” che vogliono contrastarlo da soli. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, ad esempio, ha esortato gli europei a fermare il “declino demografico” investendo di più nelle famiglie tradizionali. Invece, l’arcivescovo cattolico Gian Carlo Perego ha detto: “La sfida dell’Italia è riconciliare un Paese che muore con i giovani di altrove per iniziare una nuova storia. Se chiudiamo la porta ai migranti, scompariremo”.

Salvini ha proposto un’altra idea in una intervista al Times: “Un Paese che non fa figli è destinato a morire. Noi abbiamo creato un ministero della Famiglia per lavorare su fertilità, asili nido e aiuti fiscali per le famiglie. Al termine del nostro mandato - ha spiegato il ministro dell’Interno - il nostro governo verrà giudicato soprattutto sul numero dei nuovi nati piuttosto che sul debito pubblico”.

La posta in gioco, ha chiosato Salvini, è “la tradizione [dell’Italia], la nostra storia, la nostra identità” e la sinistra sta usando la crisi della fertilità come una “scusa” per “importare migranti”.

Un altro vescovo cattolico, Andrew Nkea Fuanya della diocesi di Mamfe, in Camerun, ha affermato di recente riguardo ai bassi tassi di natalità in Europa: “È una cosa molto grande. E oserei dire che, soprattutto con lo sfondo dell’invasione islamica, se si guarda attraverso la storia, dove la Chiesa ha dormito, si allontanata dal Vangelo, l’Islam ne ha approfittato ed è entrato. Questo è quello che vediamo in Europa, che la Chiesa sta dormendo, e l’Islam si insinua. (...) L’Europa si sta islamizzando e interesserà l’Africa”.

Il declino e la trasformazione dell’Europa sono visibili anche in Francia. Secondo i nuovi dati statistici pubblicati dall’Institut national de la statistique et des études économiques, Mohammed e molti altri nomi musulmani tradizionali sono ora in cima alla lista dei nomi più diffusi per i neonati nel dipartimento francese della Seine-Saint-Denis (che conta 1,5 milioni di residenti). È interessante notare che due giornalisti del quotidiano mainstream Le Monde, Gérard Davet e Fabrice Lhomme, hanno appena pubblicato un libro intitolato Inch’allah: l’islamisation à visage découvert (“Inch’allah: l’islamizzazione a volto scoperto”), una inchiesta sulla “islamizzazione” dell’area della Seine-Saint-Denis.

Al contempo, una inchiesta pubblicata a luglio dal settimanale L’Express ha mostrato che in Francia, “fra il 2000 e il 2016, il numero dei bambini con almeno un genitore straniero è aumentato dal 15 al 24 per cento”. Die Welt ha riportato che, secondo l’Ufficio federale di statistica tedesco, nella Germania occidentale, il 42 per cento dei bambini di età inferiore ai 6 anni proviene da un contesto migratorio.

L’immigrazione di massa incontrollata in Europa sembra aver causato più male che bene. Walter Laqueur ha scritto: “...l’immigrazione incontrollata non è stata l’unica ragione del declino dell’Europa. Ma insieme alle altre disgrazie del continente, ha portato a una profonda crisi; un miracolo potrebbe essere necessario per tirare fuori l’Europa da queste situazioni difficili”.

Sia Matteo Salvini sia Michel Houellebecq hanno rilevato che il dramma di una Europa che invecchia ed è stanca non è una questione di parte o elettorale, è un problema di civiltà. Tale questione deciderà anche il futuro dell’Unione europea, che la politica delle frontiere aperte potrebbe spazzare via.

Il tempo sta per scadere. Come ha detto Houellebecq in un discorso pronunciato in occasione della consegna del Premio Frank Schirrmacher: “Il progresso dell’Islam è appena iniziato, perché la demografia è dalla sua parte e l’Europa, che smette di avere figli, è entrata in un processo di suicidio. E questo non è davvero un lento suicidio. Una volta scesi a un tasso di natalità di 1,3 o 1,4, le cose poi vanno molto velocemente”.

(*) Gatestone Institute


di Giulio Meotti (*)