Il diritto alla segretezza

La settimana scorsa, il Senato ha approvato una proposta di legge avanzata dal Movimento 5 Stelle e finalizzata “a rendere il processo elettorale più trasparente e meno soggetto a distorsioni”. Tradizionalmente, la trasparenza è una metafora utile a indicare che chi governa ha un dovere di leale informazione verso gli elettori. Nella proposta, essa assume, al contrario, un significato materico e poco rassicurante.

(Semi)Trasparente è infatti non l’attività di governo, ma il materiale di manifattura delle urne elettorali, “tale da consentire la verifica della sola presenza di schede elettorali al loro interno”. Inoltre, le cabine elettorali dovranno essere chiuse solo su tre lati, con il quarto, aperto, rivolto verso il muro, in maniera tale che sia “impossibile falsificare o rendere riconoscibile il proprio voto senza essere scoperti dai membri dell’ufficio elettorale di sezione”.

L’intenzione, su cui i pentastellati insistono dalla scorsa legislatura, è quella di contrastare il voto di scambio e i brogli elettorali, impedendo fisicamente all’elettorale di portare con sé o falsificare le schede. Nobili intenzioni, che si scontrano tuttavia, specie nel modo in cui sono presentate (si vedano le dichiarazioni di Luigi Di Maio nella diretta social successiva all’approvazione del Senato) con il posto che hanno, in democrazia, i principi di trasparenza e segretezza.

Chi governa ha obblighi, peraltro non illimitati, di trasparenza verso l’elettorato, perché possa essere giudicato per quel che fa. Al contrario, gli elettori hanno il diritto alla segretezza del voto. La segretezza è anzi una caratteristica essenziale del voto tutelata dalla stessa Costituzione, che evidentemente è la più bella del giorno a giorni alterni.

Hanno ragione i proponenti della legge ad affermare che la tutela del processo elettorale è alla base di qualsiasi rivoluzione democratica. Gli scandali e i brogli elettorali rappresentano la manifestazione patologica del diritto di voto. Pensare però di curarla sradicando le caratteristiche essenziali alla libertà del voto è del tutto illiberale e antidemocratico.

Il voto è, in fondo, uno scambio, tra un atto di fiducia e una promessa. Più le promesse si fanno specifiche e rivolte a categorie determinate, più esso rischia di diventare una parodia dei principi democratici. Se si vuole evitare questo scambio, la prima cosa da fare è promettere meno prebende possibili, non esporre gli elettori ai controlli degli scrutatori.

(*) Editoriale a cura dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 16 ottobre 2018 alle ore 11:06