L’ex Ministro di giustizia che ha nostalgia dei Talk show

Cosa pensereste di un uomo politico che dopo essere stato Ministro di grazia e giustizia e avere combinato alcune cose buone e altre meno buone dichiarasse - anni dopo la propria uscita di scena - a un giornalista di Radio Radicale che ciò di cui sente più la nostalgia sono “i talk show televisivi”?

Bene tenetevi forte quel politico esiste, si chiama Roberto Castelli, ed è anche stimato. Se non altro per avere avuto un equilibrio che invece non sembra caratterizzare la nuova classe dirigente leghista, a cominciare da Matteo Salvini, tutta attratta nel mondo delle panzane a Cinque Stelle. La dichiarazione di Castelli, ingenua quanto inquietante, del “mi mancano tanto i talk show… vorrei dire la mia quando sento tanto baccano in tv”, purtroppo la dice lunga sulla attuale classe dirigente. Non solo leghista.

Come ci sono i “millennials”, tutti digitali e poco neuronali, tra i giovani odierni, così esiste l’equivalente in una classe dirigente che a forza di vedere reality, talk show e serie televisive ha finito per credere che la vita sia quella. Ed ecco spiegato anche quel senso di allergia alla democrazia rappresentativa e alle regole, anche del buon senso, in generale.

Se vivi e pensi come quelli del "Los angeles police departement" o come un personaggio di Gomorra o de Il miracolo di Ammaniti, tendi a credere che la vita reale sia quella: una lotta eterna, paradossale e sgangherata tra le forze del bene e  quelle del male. Con continui scambi di ruoli per aiutare la sceneggiatura. E i buoni “pro tempore” per prevalere devono per forza usare le stesse astuzie e spietatezze dei cattivi. Anche loro “pro tempore”.

E questo spiega ad esempio la sintonia giustizialista dei millennials grillini con quelli leghisti. Mentre in Italia ci sono rimasti solo i cinquantenni a mettersi le mani nei capelli (pochi) per la società che si sta delineando. Il voto on line su Rousseau in cui un contratto di governo (in cui di leghista c’è giusto quel 5% che coincide con la visione grillina) sgrammaticato e pericoloso viene votato entusiasticamente dal 94% dei 46mila iscritti (in realtà sarebbero il triplo ma molti si perdono per strada in queste ridicole consultazioni on line) è una delle cose più pericolose con cui le nostre istituzioni democratiche si stanno cimentando.

Se passa il principio che 58 pagine di baggianate possano essere imposte così a 60 milioni di italiani, solo perché 11 milioni di loro hanno votato con la pancia e l’utero invece che con il cervello -  e perché sono state “approvate” da altri 46mila pasdaran con la solita disciplina delle teste vuote - allora siamo già a Erdogan.

Manca solo l’uomo forte. Il premier. Che non può essere uno come Di Maio che fa ridere. Né uno come Salvini che è pure peggio. Tutti lo cercano l’uomo forte ma nessuno ne trova uno decente. E in fondo è un bene. Perché se alla fine dovesse saltare fuori sarebbero dolori. E i primi a subirne le conseguenze sarebbero gli scienziati pazzi di questa politica che costruiscono Frankenstein a ripetizione che poi immancabilmente fuggono dai laboratori.

Tra questi laboratori, in particolare,  proprio dai “talk show” che il ministro Castelli, nella nostalgica senilità che sembra averlo colpito, rimpiange “politicamente”.

Aggiornato il 21 maggio 2018 alle ore 13:54