Strapazzare la Costituzione

lunedì 14 maggio 2018


Matteo Renzi ci ha provato a strapazzare (ché questo era il verbo adatto a definire la sua sciagurata manomissione) la Costituzione. Sergio Mattarella, Luigi Di Maio, Matteo Salvini e ditte “proprietarie” varie la stanno maltrattando in un altro modo, di fronte al quale non c’è rimedio e risposta di un possibile “No” popolare.

Ogni Costituzione ha, oltre ad una parte consacrata (eventualmente, perché l’Inghilterra ne fa benissimo a meno) in un testo scritto, una parte non scritta e neppure “deliberata”, prodotta dalla prassi, dall’uso consolidato di fare in un certo modo. Una parte che solo apparentemente è una “frangia”, e che ritenere essere per sua natura una mera opzione (cioè un nulla) è un errore gravissimo, degno di una classe politica trinariciuta e rozza.

Certe prassi costituzionali, anche quando non sono una logica ed ineludibile interpretazione ed applicazione delle norme scritte, sono fondamentali nell’architettura dello Stato e violarle, benché ciò non comporti lesioni di cui doverne rispondere, anzitutto, come “incostituzionali” in caso di diverso comportamento, comporta infliggere un colpo all’assetto istituzionale e politico del Paese.

Tra queste prassi consolidate una ha (ma dovremo cominciare a dire “aveva”) un’importanza fondamentale, perché dalla sua osservanza, a ben vedere, derivano in gran parte i tratti del ruolo, da una parte, del Presidente della Repubblica, e, dall’altra del Presidente del Consiglio dei ministri e, caso ancor più rilevante, l’individuazione dell’origine e della natura dei loro rapporti.

Si tratta di quelli che sono (...erano...) le modalità della nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e del Governo della Repubblica. C’è (c’era) una prassi risalente addirittura alla Costituzione Regia. E ad essa si deve (doveva) più che ogni altro particolare aspetto del meccanismo della Repubblica, il carattere di “governo parlamentare” di quello che la regge.

Il Presidente della Repubblica, compiute le “consultazioni” di rito, sceglie in base ad esse un personaggio cui conferire l’incarico di formare il Governo che, appena a lui presentato, deve presentarsi avanti alle Camere per ottenere il loro voto di fiducia. La formazione del Governo, il suo programma, la sua probabilità di ottenere il placet parlamentare debbono, in base a tal prassi, essere rimesse alla persona designata. Le considerazioni del Presidente della Repubblica su quanto doversi attendere in proposito, certamente rilevanti per il conferimento dell’incarico, esauriscono la loro giuridica rilevanza all’atto del conferimento stesso dell’incarico di formare il Governo, divenendo delle mere “aspettative”.

L’incarico di formare il Governo, con il quale, secondo la normalità della prassi, il Presidente ne “incanala” il carattere, tenuto conto delle constatate disponibilità del Parlamento, oggi invece verrà (questa è la “carta segreta”) designato dai cosiddetti partiti, i quali lo proporranno a Mattarella perché lo designi ad una falsa trattativa con i partiti stessi. Se, poi la “designazione” sarà effettuata, come pure si dice, in una “rosa” di nomi offerta dal Presidente, o per una autonoma “scelta” da parte di esso, il capovolgimento dei ruoli sarà ancora più evidente e pericoloso.

Pare che nella realtà, Mattarella si sia adoperato e si adoperi per non escludere del tutto il carattere di “neutralità” del Governo attraverso la (forse solo presunta) “neutralità” del Presidente del Consiglio. Altra “novità” non priva di “effetti indesiderati”. Non parliamo di quel che sarà avvenuto ed avverrà nella scelta dei ministri, sul ruolo di Mattarella, al riguardo e in qualche, Dio non voglia, scoperta della “neutralità” di qualcuno di essi.

Mattarella, Di Maio, Salvini e non so chi altro (che di altri pure si parla) hanno strapazzato tale prassi capovolgendola, con un risultato che, intanto, è difficile definire sul piano stesso dei ruoli e delle funzioni costituzionali.  La prassi è stata letteralmente capovolta. Tutto, naturalmente, ha delle ragioni non irrilevanti. Che tuttavia non per questo sono delle “buone ragioni”, soprattutto per la loro proiezione come “precedenti” in un futuro dai contorni più del solito indecifrabili.

Conclusa (comunque) questa triste pagina della storia della nostra Repubblica, la figura, il ruolo del Presidente non sarà più quello di prima e le “giustificazioni” che sicuramente non mancheranno, anche se, magari mancherà addirittura qualche autorevole voce che faccia rilevare questi sconvolgimenti, ciò non varrà certamente a dimostrare che, in fondo, non è successo niente.


di Mauro Mellini