Per una Repubblica presidenziale

Esiste un orizzonte strategico dei vincitori del 4 marzo? A me pare di no, in tutta franchezza. Dal mio quarantennale osservatorio di politica interna e internazionale vedo come gli intramontabili e paralizzanti veti incrociati sul modello della Prima Repubblica dimostrino, in realtà, l’assenza di una visione strategica alternativa. E vengo subito al punto: da molti anni ci sono segnali inequivocabili sul definitivo esaurimento della democrazia parlamentare italiana, così come originatasi nel 1946 a seguito degli accordi di Yalta recepiti in toto dalla nuova Costituzione del 1948. Mi chiedo perché mai nessuno stia avanzando l’ipotesi di procedere a una riforma costituzionale per l’introduzione anche in Italia di una sistema presidenziale “alla francese”, che darebbe il giorno dopo il ballottaggio lo scettro del comando a uno dei due contendenti mettendolo altresì in grado di realizzare, attraverso un Governo da lui nominato, il suo programma presidenziale. E, vista la distribuzione dei seggi nell’attuale Parlamento tra centrodestra e Movimento 5 Stelle, credo proprio che ci sarebbe la possibilità di coagulare una maggioranza dei due terzi per la sua  relativa approvazione.

Invece i maggiori attori politici che cosa fanno? Avanzano pregiudiziali insuperabili l’uno nei confronti dell’altro, dimenticandosi di proporre agli elettori la più forte delle linee strategiche possibili, come quella dell’introduzione di una Repubblica presidenziale alla francese che darebbe all’Italia un enorme peso contrattuale in Europa. Basterebbe che qualcuno, un direttore d’orchestra, dotato di sufficiente coraggio e immaginazione, lanciasse in questo momento l’idea, che costringerebbe tutti, nessuno escluso, a mettere fine a nominalismi e abili manovre quirinalizie per disfare o ridurre a impotenza (non sono bastati così tanti Governi del Presidente, con primi ministri calati dall’alto) la volontà popolare.

Si attiva in ogni istante della vita pubblica il mantra della governabilità, ma ci si rifiuta di adottare la più semplice delle regole auree per ottenerla. Perché? Temo a ragion veduta che se si dovesse andare incontro a uno schema di elezioni politiche anticipate a ripetizione, a causa del disallineamento o dell'incompatibilità dei programmi e delle rivalità insanabili tra i principali leader politici, il meccanismo del voto fluido si rifugerebbe in una forte astensione in attesa di tempi migliori.

Colgo l’occasione per precisare che, a mio avviso, le recenti manovre macroniane, culminate con l’intervento al Parlamento europeo del presidente francese, puntano a colpevolizzare il dissenso nell’Unione europea come quello dei Paesi Visegrád e dell’Europa del Nord, parlando di una “guerra civile” con l’ipotizzabile avvento prossimo venturo, dopo il 31 maggio 2019, di una forte maggioranza populista e sovranista a Strasburgo.

Nessuno, per la verità ha messo in chiaro come questa Europa zoppa sia colpa della Grandeur francese che, con la sua strategia della “sedia vuota” ha impedito la realizzazione di una difesa comune. Da allora, la burocrazia francofona ha conquistato un peso abnorme a Bruxelles e privilegiando, attraverso Trattati come la politica agricola comune, le produzioni agroalimentari transalpine, che hanno penalizzato quelle di grande qualità dell’Italia, barattate per i più comodi sussidi all’abbattimento degli animali d’allevamento e all’eradicazione di centinaia di migliaia di ettari di agrumeti.

Macron, per mentalità e tradizione, vuole solo riaffermare il potere del duopolio franco-tedesco per mantenere intatti e rafforzare tutti i privilegi della patria di Marianne. Se vogliamo un Macron italiano, più forte e più in gamba di lui, dobbiamo solo copiare la Costituzione della Quinta Repubblica francese.

Aggiornato il 19 aprile 2018 alle ore 16:10