In morte della Terza Repubblica

Alle volte anche le Repubbliche nascono morte. Qui in Italia a quanto pare i media hanno un po’ il conio facile nello stabilirne l’avvenuta nascita. Sicché, molto spesso un tramonto viene scambiato con un’alba malgrado manchino le relative premesse fondamentali, come invece è sempre accaduto in Francia quando i vari passaggi di numero, dalla Quarta alla Quinta Repubblica, erano determinati da profonde modifiche nella “Balance of powers” costituzionale.

Così, dopo il voto del 4 marzo scorso, si era attribuita la vittoria alle forze “populiste”, Lega e M5S, dando per defunte le due grandi sconfitte del centrodestra e del centrosinistra per poi accorgersi con grandissima meraviglia, come accadde nella vituperata Prima Repubblica, del loro ruolo di ago della bilancia. Così si scopre che i vincitori da soli non possono formare un governo perché l’uno non può fare a meno del suo alleato centrista, mentre l’altro pratica un po’ disordinatamente la politica andreottiana (sic!) dei “Due forni” tentando di allearsi o con i perdenti di sinistra purché privi del loro fallito principale azionista, o con i vincenti salviniani di destra purché divorziati dal loro alleato di centro.

Così, poiché non si può pretendere di sbronzare il nemico senza svuotare la propria botte, la XVIII Legislatura si avvia mestamente a una probabile soluzione o “con dentro tutti”, con forme più o meno dirette di coinvolgimento da parte degli “azionisti”, o affidate al solito “Governo del Presidente” guidato da una personalità terza rispetto ai due grandi pretendenti al trono di Chigi, per andare comunque a nuove elezioni a maggio 2019. Ma c’è ben altro in questo orizzonte a-ideologico presente e futuro. Per capire meglio è preferibile spostare tutta l’attenzione sul piano più generale della discussione. Quando esistono forze che intendono presentarsi come un monolite compatto attorno alle idee e agli anatemi di un capo indiscusso, che si muove a tutto campo e liberamente al di fuori delle istituzioni e del Parlamento, accadono due cose della massima importanza, di cui però nessuno pare accorgersi dall’esterno. La prima è una correntizzazione sotterranea del dissenso e la diversificazione silente delle posizioni su grandi temi d’interesse nazionale e internazionale che, per così dire, non si istituzionalizzano, in quanto costantemente minacciate con l’arma dell’espulsione dei dissidenti, senza che all’interno della struttura-partito relativa vi sia alcun collegio di probiviri o di saggi super partes capaci di dirimere i conflitti.

La seconda, è il costituirsi di fatto da parte dello stesso Partito-Movimento come una setta che come prima cosa provvede alla sua assoluta compartimentazione interna, pretendendo di non concedere nulla agli avversari politici per timore di una contaminazione della sua purezza originale. Il che andrebbe benissimo se non si trattasse di fare politica per governare la Res Publica, che è altra cosa da un network chiuso di simpatizzanti illusi di praticare la democrazia diretta attraverso il voto e le scelte online, gestite da una piattaforma le cui chiavi digitali e gli algoritmi sono in mano del capo di una società privata non eletto in Parlamento e, quindi, non assoggettato a ipotesi severe di conflitto di interesse.

Eppure, è proprio quest’ultimo assieme al cofondatore della struttura politica a dirigere con la sua influenza chi svolge la funzione di portavoce nazionale, gestendo apparentemente in prima persona i rapporti ad altissimo livello, come quelli della partecipazione alle consultazioni del Presidente della Repubblica e dei contati diretti con i principali esponenti politici dei Partiti italiani. Per cui, i vincitori possono soltanto prodursi in una pessima imitazione del Machiavelli, con giravolte dialettiche incomprensibili ai loro stessi elettori pur di raggiungere il vero, unico scopo della loro esistenza: il Potere!

Aggiornato il 18 aprile 2018 alle ore 13:59