Avere statura

Molti di noi che seguiamo la politica, facciamo la politica, scriviamo per lavoro di politica o semplicemente ci dilettiamo a disquisire di politica, in questo sordido momento di trapasso da un Governo defunto ancor prima di morire ad un Governo che non sappiamo nemmeno se nascerà, non possiamo che rimanere sbigottiti e tremebondi come il giovane Frodo alla vista della Terra di Mordor osservando quanto accade.

In questi giorni le montagne brulicano di Gollum che vanno e vengono da una Rousseau a un Nazareno passando per il Quirinale, dove la morta gora è sempre più morta e non dà segni di vita se non smunte raccomandazioni ad un vago senso di responsabilità. Purtroppo questa tornata elettorale ha messo in evidenza un fatto incontestabile, anzi due: il primo è che l’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro, perché lavoro non ce n’è quasi per nessuno e molti non hanno punto voglia di lavorare, il secondo è che, parafrasando, l’Italia è una Repubblica fondata sull’ignoranza e sull’invidia. Quando viaggio in autostrada, e lo faccio spesso, mi diverto a leggere gli adesivi sui camion e il mio preferito, da sempre, rimasto ad oggi ancora imbattuto è “La tua invidia è la mia forza”. Ecco, è sotto questo slogan che il centrodestra dovrebbe andare, unito, alle consultazioni (ma a consultare cosa?).

L’unica cosa su cui tutti gli italiani che hanno votato il Movimento Cinque Stelle dovrebbero consultarsi è se hanno capito o meno che il loro voto ha premiato sì la classe media, che è quella più tartassata da un sistema allo sbando, e ha contestualmente premiato anche il cosiddetto proletariato, orfano dei sindacati magnoni (era ora) e della vecchia sinistra, e su questo siamo tutti d’accordo, ma il risultato è che una pletora di gente fino a ieri insignificante nella società civile si è ritrovata dall’oggi al domani a determinare le sorti della nazione. Non buono.

Senza voler offendere nessuno e se qualcuno si offende chissenefrega, gli psichiatri esistono per questo è frustrante, e molto, doversi interfacciare quotidianamente con questo 32 per cento di amici, romani, concittadini o, ampliando il respiro, italiani, comprensibilmente stanchi e arrabbiati di un andazzo oggettivamente intollerabile, che però sembrano avere come concetto fondante del loro essere e del loro pensiero il fatto che non importa chi sei ma quello che fai. Benissimo, mi può anche stare bene, però per certi fatti un titolo di studio adeguato ci vuole, un’esperienza professionale specifica o quantomeno multipla anche, una conoscenza di Cicerone, Catilina e Shakespeare possibilmente pure, ché non serve dover arrivar a sapere chi era Agatocle di Cizico o saper progettare una nave spaziale per prestarsi alla politica. Però, però, in medio stat virtus, non in mediocritas. E quindi, arrivo al dunque, “Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui”. Mi prendo la briga, o mi arrogo il diritto, di spiegare alle persone semplici che purtroppo – vivaddio una persona è fatta anche del suo background culturale, esistenziale, professionale, lavorativo, familiare, mentale, psichico.

Non basta una faccetta pulita, ostentare sicumera e farsi radiocomandare dal Boncompagni di turno, perché ovviamente, se non sei proprio un ebete, dopo anni di auricolare qualcosa recepisci e impari; non basta dire tutto e il contrario di tutto sulle alleanze in nemmeno un mese e voler passare da salvatore della Patria perché quattro ometti e donnette, presumibilmente più mediocri di te, hanno fatto click su un sito mentre contemplavano le scie chimiche dalla finestra. Non basta aver “venduto il sogno” a chi c’è cascato con tutte le scarpe, preso com’era dalla voglia di rivalsa sui suoi complessi o fallimenti vari e le ingiustizie del mondo.

Non basta nemmeno utilizzare tecniche di propaganda maoista che fanno presa sul popolino né basta fare una secessione interna al partito che però è meglio chiamare “movimento” che fa meno paura passata in sordina. Per fare il leader bisogna esserlo, per fare il leader non basta essere un messia autoproclamato o quasi, un “eletto” dello stadio San Paolo, non basta il completino blu, abbottonato o meno alla parata militare, e non basta nemmeno essere educati e perbene, chi di noi non ha mai appiccicato quattro cose in croce per prendere sei all’interrogazione di matematica alla lavagna? Per fare il premier non basta la fortuna, o proprio il gran culo, di essersi trovati al posto giusto nel momento giusto o la disgrazia che non ci fosse, tra quelle fila, niente di meglio: ci vuole statura. E io in Luigi Di Maio non ne ho vista e non ne vedo.

Aggiornato il 02 luglio 2018 alle ore 09:08