“Urban et Orbán”

Secondo l’Ocse il voto in Ungheria, seppur democratico, è stato minato da un clima avverso e di faziosità xenofoba dei media. In pratica gli elettori, pur disponendo di un’ampia rosa di possibili scelte politiche, sarebbero stati piuttosto sospinti dall’informazione verso Viktor Orbán.

Per Amnesty International poi non ne parliamo, il voto ungherese a favore di Orbán è la conferma della necessità di contrastare con ogni forza la mancanza di diritti umani e delle libertà di tutti. Insomma, il terzo mandato alla guida del governo in Ungheria di Viktor Orbán non va giù a parecchi di quelli che si ritengono gli unici depositari delle libertà, della democrazia, del pluralismo e delle garanzie civili.

La solita storia di chi intende il diritto in modo univoco, nel senso cioè che ogni pensiero non omologo, oppure diverso dal loro, non può avere cittadinanza democratica. In Europa o si accetta l’immigrazione illimitata, la cosiddetta accoglienza infinita senza distinguo e senza regole, o ci si mette ai margini della democrazia e dei diritti umani. Secondo molti pensatori, che guarda caso sono sempre riconducibili a un certo mondo politico e rappresentativo dei “radical chic”, il diritto di intendere l’accoglienza con regole diverse non esiste. Per questo si scagliano contro Donald Trump, contro Benjamin Netanyahu, così come contro Orbán e gli altri di Visegrád.

Insomma, contro chiunque avendo la responsabilità di tutelare il bene collettivo della propria nazione chiede che esistano delle regole per riuscirvi. Sia chiaro, parliamo di regole e dunque di principi che possono consentire non solo una giusta e possibile accoglienza dei migranti, ma garantire a questi una concreta capacità d’integrazione in tutti i sensi. Oltretutto si insiste nel far finta di non capire la differenza fra migranti economici (che sono la larga parte) e i profughi, che fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni. Va da sé, infatti, che per risolvere il problema dei primi non c’è accoglienza che basti in mancanza di un enorme piano di sviluppo, sostegno, assistenza alla crescita nei Paesi d’origine, da parte dell’Ue e del mondo più ricco.

Non è pensabile di svuotare un continente per riempirne un altro al fine di risolvere il problema. La prima arma contro l’immigrazione infinita è il pieno impegno agli investimenti strutturali, culturali e sociali nei Paesi dove fame, povertà e mancanza di accesso ai bisogni fondamentali è pressoché totale. Solo così e cominciando subito si potrà arrivare sia a contrastare le spinte migratorie, sia gli intollerabili deficit di sviluppo e di crescita di una parte del mondo tanto vasta. Ecco perché il problema non è e non può essere Orbán piuttosto che gli altri contrari a un’accoglienza illimitata, il problema è l’ipocrisia di chi pensa di risolverlo con un immenso “travaso demografico” dall’Africa verso l’Europa. Per non parlare ovviamente degli ulteriori rischi legati a una gestione incontrollata dei flussi migratori, a partire da quello terroristico e fondamentalista islamico.

Che piaccia o meno l’Ungheria è una democrazia pluralista e che sa scegliere liberamente e senza le imposizioni europee la propria strada, dandosi la regola del possibile e non dell’impossibile. Dopodiché si può essere d’accordo o meno con le politiche di Orbán, si possono criticare le sue posizioni, ma non si può ipocritamente tentare di farlo passare da pericoloso “dittatorello”, perché se così fosse cosa si dovrebbe pensare della Francia di Ventimiglia, piuttosto che della Spagna di Gibilterra?

 

 

 

 

Aggiornato il 10 aprile 2018 alle ore 17:42