La mossa di Salvini

Matteo Salvini ha preso coraggio: appurato che i Democratici non hanno intenzione di morire facendo il partito cuscinetto dei Pentastar, il leader leghista ha cominciato a puntare i piedi opponendosi alle insulse richieste di Luigi Di Maio. Il ragazzotto vaneggia pretendendo di scegliersi i compagni di viaggio (Partito Democratico senza Matteo Renzi o centrodestra senza Silvio Berlusconi) mentre Matteo Salvini – in una sorta di solidarietà generazionale – prova a indurlo a più miti consigli per evitare che Giggino si faccia male sul serio.

Il Churchill di Pomigliano – a differenza di Salvini – non ha nulla da perdere e per questo tira la corda: se gli dovessero andare bene le consultazioni si ritroverebbe a Palazzo Chigi con un subalterno paggetto (la Lega o il Pd cambia poco) come comprimario. Se gli dovesse andare male, potrebbe tranquillamente invocare le elezioni raccontando a quegli analfabeti dei suoi elettori che la casta ha disatteso il volere del popolo impedendo di fatto ai Cinque Stelle di attuare il programma che undici milioni di italiani avevano voluto fortemente.

Siamo sicuri che il consenso dei grillini crescerebbe data l’enorme quantità di mentecatti pronti a trangugiare un simile ragionamento destrutturato sia a livello logico e sia a livello costituzionale. E lo accetterebbero per il puro gusto di convalidare la tesi secondo la quale poteri oscuri starebbero tramando contro gli splendidi ragazzi di Beppe Grillo: il popolino ama la dietrologia perché è il capro espiatorio dei propri insuccessi.

Se poi i pentastellati fossero invece costretti ad andare al Governo, il problema non si porrebbe: il caso Virginia Raggi a Roma ci ha insegnato che il popolo italiano non è in grado di riconoscere un governante scarso nemmeno di fronte all’evidenza e per tale ragione continuerebbe a sostenere Di Maio e soci pur di non vedere più quelli di prima. Salvini, inizialmente preoccupato per il fatto che Napolitano e Mattarella erano dati per favorevoli a un matrimonio Pd-M5S, ha mantenuto un tono morbido nei confronti dei grillini per evitare di fornire alibi all’alleanza di cui sopra. Adesso che invece i giochetti sono agli sgoccioli e il Pd non vuole morire pentastellato, sta iniziando a comprendere che legare il proprio destino in maniera inscindibile a quello di Luigi Di Maio sta diventando pericoloso. Per questo – e in risposta a chi dai banchi grillini dice di non riconoscere come interlocutore la coalizione di centrodestra – ha chiesto a Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni di creare una delegazione unica da mandare sul Colle nel prossimo giro di consultazioni.

Con questa mossa ha di fatto mandato un messaggio molto chiaro agli Amici di Casaleggio: il tentativo di dividere la coalizione è risultato vano così come lo sono i ricatti e le minacce di formare un governo con il Partito Democratico. Era ora che Salvini si liberasse dall’abbraccio mortale di Giggino accodandosi finalmente in maniera convinta al sonoro spernacchiamento che Berlusconi ha fatto giungere ai grillini definendoli giustizialisti e populisti con cui è escluso si possa iniziare un dialogo.

Il prossimo passo che Salvini dovrà fare è appunto quello di prendere atto dell’impossibilità di intessere una trattativa con Di Maio trattandolo come un interlocutore credibile. Dare fiducia a Giggino sarebbe come dare la pucchiacca in mano ai criaturi.

Aggiornato il 06 aprile 2018 alle ore 21:23