Il voto di truffa peggio di quello di scambio

Secondo il pensiero unico giustizialista o para tale il voto di scambio sarebbe uno dei grandi problemi italiani. Alla pari con la corruzione, di cui si conoscono statistiche roboanti non corrispondenti alle inchieste e alle condanne relative, o all’evasione fiscale. Ma che dire del fenomeno venuto alla luce un po’ in tutto il mondo e in Italia in particolare lo scorso 4 marzo, quello che può essere definito come “il voto di truffa”? Non meriterebbe anch'esso una sanzione penale visto che tanto in Italia abbiamo con l’ideologia pan-penalista qualcosa come 36mila ipotesi di reato, contenute quasi tutte in leggi e leggine emergenziali che nemmeno i giudici conoscono a menadito, tanto che devono entrare in camera di consiglio con i manuali della Giuffrè?  

Prendiamo il sito di Cambridge Analytica addirittura propone una serie di espedienti per avere successo nelle elezioni, a prescindere dalle reali capacità di questo o quel partito politico di poter mantenere le singole promesse elettorali. Non si tratta quindi di una truffa generica, perché tanto nessuno mantiene le promesse notoriamente, ma di una truffa premeditata: io leader politico di un determinato schieramento o partito mi affido a un organismo terzo che mi aiuta ad accalappiare i gonzi per il consenso ben sapendo che non ho nulla né da promettere né da mantenere.

Su suggerimento di questo organismo, ricorro – ad esempio  a slogan, comparsate televisive, manifestazioni di piazza mirate in cui urlo inviti a generiche “onestà” e via di seguito. In Italia addirittura esiste un partito che ha la sua Cambridge Analytica privata e di cui anzi è proprietà esclusiva. Ecco, ora si aspettano magistrati che riflettano su questo voto di truffa. Perché il voto di scambio, paragonato, è quasi acqua tersa.

Aggiornato il 23 marzo 2018 alle ore 15:27