Ilva, incostituzionale il decreto del 2015

Buona parte del decreto Ilva del 2015, che autorizzò a proseguire la produzione negli altiforni dell’acciaio dopo l’incidente mortale che costò la vita nel novembre di quell’anno a un operaio schiacciato da un tubo, Cosimo Martucci, è stato dichiarato incostituzionale ieri dalla Consulta. Questo perché la prosecuzione del lavoro dell’acciaieria più importante d’Europa fu autorizzata nel decreto governativo senza tenere conto delle esigenze per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Nuova tegola – quindi – che cade sull’operato del Governo Renzi e che ipotecherà anche le scelte di quello che sarà forse varato in questa diciottesima legislatura. Secondo la Corte costituzionale – che si richiama anche a una precedente sentenza del 2013, la numero 85, secondo cui “il legislatore, pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori” – nel decreto Ilva varato dall’Esecutivo Renzi questi criteri non sarebbero stati rispettati. E anche se la norma non è più in vigore da tempo non per questo si poteva sottrarre a una censura di costituzionalità come quella all’epoca sollevata dal gip di Taranto che procedeva per la morte dell’operaio.

Più precisamente – dice la relatrice Marta Cartabia nella sentenza numero 58 depositata ieri – “nel caso oggi (ieri, ndr) portato all’esame di questa Corte, invece, il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita. Infatti, nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell’attività d’impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un piano ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

In pratica, quasi un’accusa di totale incompetenza nel settore, con buona pace dell’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che oggi va per la maggiore.

Aggiornato il 23 marzo 2018 alle ore 17:17