Casaleggio e i “costi per voto”

giovedì 22 marzo 2018


La nostra esperienza è la prova di come Internet abbia reso i partiti politici e, più in generale, i precedenti modelli organizzativi di politica democratica, obsoleti e antieconomici. Il Movimento 5 Stelle ha raccolto 11 milioni di voti alle recenti elezioni. Ogni voto ci è costato circa 9 centesimi: un costo coperto da micro donazioni arrivate da circa 19mila cittadini che hanno donato in totale un milione di dollari, con i quali abbiamo affrontato tutti i costi della campagna elettorale. Ai partiti tradizionali, secondo i calcoli di +Europa, un singolo voto è costato quasi cento volte tanto, circa 8,50 dollari.

Davide Casaleggio pochi giorni orsono ha praticamente “confessato” in un articolo scritto per il Washington Post in cosa consista questa nuova “democrazia digitale” in cui i Cinque Stelle sono decisamente all’avanguardia rispetto agli altri partiti.

Dopo lo scandalo scoppiato per i dati profilati di decine di milioni di utenti da parte della Cambridge Analytica (app che operava all’interno di Facebook mentre Mark Zuckerberg e compagnia cantante facevano finta di niente) e venduti sottobanco a questo o a quel partito politico (o semplice candidato) di questo o di quel Paese, veniamo a scoprire quella che giustamente Maurizio Belpietro chiama “l’acqua calda”: e cioè che tutti si arrangiano. E che i grillini grazie alla Casaleggio Associati e alla piattaforma Rousseau sono quelli che si arrangiano meglio di tutti in questa maniera di raccogliere voti e fare propaganda. Almeno in Italia.

Vista poi con gli occhi della maggior parte degli altri partiti, questa nuova maniera di fare campagna elettorale non è molto lontana dal concetto di “concorrenza sleale”. Infatti, un partito di proprietà di una società privata di certo non trasparente negli scopi e neanche negli eventuali finanziatori pro tempore usa metodi, in modo “autarchico”, non molto dissimili da quelli per cui sta passando i guai Zuckerberg. L’Agcom si è già occupata della Casaleggio Associati e gli stessi auditi hanno dovuto ammettere la possibilità teorica di schedare, o se si preferisce “profilare”, chiunque si sia avvicinato alle loro piattaforme. Ovviamente loro giurano che ciò non è mai accaduto… ma noi “famo a fidasse” come dicono a Roma?

C’è poi un altro problema che potremmo chiamare ontologico o filosofico ma che si traduce in materia grezza della politica: se esistono partiti che acchiappano voti e che quantificano anche il costo unitario di questo “acchiappo” al di là del fatto che le idee e gli slogan propagandati possano mai corrispondere a una pur vaga realtà presente o anche futura (esempio il mitico reddito di cittadinanza che ha fatto grande breccia al Sud), gli altri che possibilità hanno di competere con armi pari? Altro che par condicio.

Se Silvio Berlusconi aveva un tempo ormai lontano un “partito azienda”, in cui le strutture aziendali erano al servizio della politica, i grillini hanno ora un partito artificiale che è tutto al servizio di un’azienda che sembra avere per unico fine la presa totale del potere attraverso votazioni “democratiche” chiaramente falsate. Da qui a Hitler il passo è breve.

 


di Dimitri Buffa