Il Trattato sui confini marittimi non vale (forse)

Nel grande outing al quale il Partito Democratico dovrebbe consegnarsi nella ricerca di una spiegazione plausibile alla sconfitta elettorale subita, suggeriamo di non trascurare le scelte compiute dai suoi governi e che non hanno trovato alcuna giustificazione razionale. Si tratta di decisioni che, venute alla luce, hanno avuto un forte impatto negativo sull’opinione pubblica. É il caso dell’Accordo di Caen tra l’Italia e la Francia, firmato il 21 marzo 2015 dall’allora Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in rappresentanza del Governo di Matteo Renzi. Il Trattato bilaterale prevede una ridefinizione dei confini marittimi tra i due Stati. Le acque interessate dal patto sono quelle del Mar Ligure, di Corsica e della Sardegna.

L’intesa dovrebbe portare ad una definitiva sistemazione delle rispettive giurisdizioni su alcune aree di pesca storicamente contese tra le due nazioni. Rispetto alla condizione pregressa il Trattato statuisce la cessione di alcuni tratti di mare tradizionalmente considerati italiani alla Francia. Benché firmato da entrambe le parti, per essere efficace l’Accordo avrebbe dovuto essere ratificato dal Parlamento italiano, secondo quanto prescrive la Costituzione all’articolo 80. Giacché l’organo legislativo nei mesi successivi alla stipula non si è pronunciato, il Trattato di Caen è da considerarsi inefficace. Peccato però che i francesi non siano stati del medesimo avviso. Nel gennaio 2016, la gendarmeria marittima di Nizza ha intercettato il peschereccio italiano “Mina” all’interno dell’area che si supponeva trasferita alla sovranità francese.

Le autorità portuali del Paese transalpino contestavano all’imbarcazione italiana lo sconfinamento e provvedevano al sequestro del peschereccio, rilasciato soltanto dopo il pagamento di una cauzione di 8.300 euro. A seguito delle proteste italiane, il Governo di Parigi ha porto le scuse all’Italia dichiarando, in merito all’incidente di Nizza, che la gendarmeria del luogo era incorsa in un errore d’interpretazione sull’entrata in vigore delle nuove norme. In questi giorni si è tornato a parlare dell’Accordo di Caen perché per il prossimo 25 marzo il Governo francese ha indetto una consultazione pubblica sulla riorganizzazione dei confini mediterranei dello Stato. Ciò che ha destato allarme tra alcuni esponenti del centrodestra è che nel materiale informativo fornito ai cittadini francesi vi è una cartina marittima sulla quale sono comparsi i confini rivisti in base all’Accordo di Caen. Ancora una volta le autorità francesi si sono scusate per l’errore promettendo al Governo italiano di rettificare prontamente l’errore grafico compiuto.

Tuttavia, a fronte delle polemiche sollevate circa la possibilità che si stesse svendendo una parte del territorio nazionale al Paese transalpino, il Ministero degli Esteri italiano si è limitato a dire che il sospetto non ha fondamento in quanto il Trattato non è valido non essendo stato ratificato dal Parlamento. Si tratta di una toppa che la Farnesina prova a mettere che è peggiore del buco. Viene da chiedere al premier Paolo Gentiloni che di quell’Accordo fu il firmatario per conto del Governo Renzi: se, a detta degli stessi ministri competenti, l’intesa penalizzava gli interessi economici nazionali, in particolare della marineria da pesca italiana, perché mai è stata sottoscritta? Era forse una presa in giro dei francesi? Se così fosse saremmo al cospetto di un comportamento sleale e infingardo delle nostre massime autorità che non avendo il coraggio e la forza di opporsi alle pretese francesi, si sarebbe rifugiato dietro un poco commendevole firmiamo-tanto-non-vale-niente. Francamente, non ne usciamo bene. Sia se si scopra che il Governo di centrosinistra si era acconciato a svendere gli interessi nazionali alla Francia, sia se Gentiloni e soci cerchino di darsi merito nell’aver tirato una fregatura ai francesi.

Battere la via maestra nel fare valere le ragioni italiane sarebbe stato un comportamento politico di certo più dignitoso e lineare. Ma dignità e coerenza non sono state merci d’uso frequente nel suq dei governi di centrosinistra della scorsa legislatura. Resta l’enigma: perché firmare se non si aveva intenzione di dare seguito agli accordi? Cos’è che l’allora governo di Matteo Renzi sperava di ottenere dalle autorità parigine in cambio della svendita di un pezzo d’Italia? Ed il fatto di non aver portato l’Accordo in Parlamento per la ratifica è stata una dimenticanza oppure era la via d’uscita che Renzi si sarebbe assicurato nell’eventualità che non avesse ricevuto dai francesi ciò che si aspettava come contropartita per l’ignominiosa cessione? Purtroppo non sapremo mai la verità a meno che non si trovi da qualche parte, tra Roma e Parigi, una gola profonda disposta a raccontare la verità su cosa vi fosse di torbido o d’inconfessabile dietro quella trattativa.

Comunque, è stata una pagina pessima della storia nazionale. Se i “dem” sono finiti come sono finiti alle ultime elezioni se la prendano con loro stessi. Pensavano di fare dell’Italia ciò che volevano, invece sono stati gli elettori a cestinarli come si fa con la carta straccia. Come l’Accordo di Caen.

Aggiornato il 22 marzo 2018 alle ore 15:18