Il ricatto libico da un milione di migranti

Puntualmente dalla frontaliera Libia decidono di battere cassa con l’Italia sotto elezioni. Succede da più di 25 anni che i libici usino l’arma dei migranti quando s’avvicinano le urne.

Ovviamente il metodo funziona sempre, e con qualsiasi colore al governo. Perché tutti i partiti temono gli sbarchi massicci sotto campagna elettorale. E, per scongiurare il flop alle urne, concedono agli interlocutori libici linee di credito, appalti, regali, favori, denaro a nero del Viminale. Come da prassi le motovedette della guardia costiera libica (quelle che dormono per anni) hanno intercettato in questi giorni circa 700 migranti, erano su gommoni alla deriva tra le acque libiche e quelle italiane: sostengono che circa 100 disperati siano dispersi in mare, forse già inghiottiti dalle acque. Rammentiamo che quando non c’è aria di elezioni in Italia, le motovedette libiche sono ferme nei porti e lasciano il compito dei salvataggi alle Organizzazioni non governative. Alcune fonti sostengono che i militari delle motovedette siano vere e proprie bande che lavorano in proprio, che rispondono a vari comandanti che di volta in volta ricattano l’Italia. Così la Libia (anzi, varie bande libiche) ci avverte che più di un milione di migranti sarebbero pronti ad imbarcarsi per l’Italia, soprattutto che si prevede un massiccio esodo sino ai primi di marzo (il 4 marzo in Italia si vota).

Il premier Paolo Gentiloni, che va candidato in buona compagnia dei ministri Pier Carlo Padoan, Maria Elena Boschi e Marco Minniti, ha subito ordinato di trattare con la Libia: onde evitare scherzi, quando i riflettori dei media sono puntati sulle politiche italiane. Per il momento la parte libica non ha ancora quantificato l’offerta bastevole a far dormire sonni tranquilli al Partito Democratico. Gli addetti ai lavori sostengono che, prima di formulare una richiesta pecuniaria credibile, faranno assaggiare agli italiani un paio di super-esodi allarmanti. In modo che il governo italiano accetti le condizioni libiche senza fiatare, senza accennare la benché minima trattativa al ribasso. È presumibile che, del milione pronto a partire, ci facciano pervenire entro fine gennaio un decimo dei migranti preventivati. A quel punto il Viminale attiverà una cabina di regia di prefetti e diplomatici con ampia facoltà di trattativa. Ovviamente non avranno tempo di chiedere aiuto all’Unione europea che, considerando la situazione un ricatto sotto elezioni, difficilmente concederebbe all’Italia un aiuto sotto forma di “politiche di contenimento delle migrazioni extra-Ue”. Con molta probabilità Bruxelles avrà gli occhi ben puntati sull’Italia, pronta a multarla se scopriranno che ha usato fondi pubblici per pagare i libici sotto elezioni, comprando così il blocco delle partenze.

Quindi non solo peserebbe sul contribuente il costo d’aver corrotto le autorità militari libiche, ma anche la sanzione comminata dall’Ue. Perché la procedura corretta sarebbe riportare la notizia della fonte libica alla Commissione europea, spiegando che il milione di sbarchi sono da considerarsi nell’area euro e non solo su suolo italiano: soprattutto che l’Italia non teme “ricatti umanitari” sotto elezioni politiche, e perché non ha nulla da nascondere nei suoi rapporti bilaterali con le tante fazioni libiche. Ma questo discorso pare non possa farlo alcun politico di governo, perché se qualsivoglia dignitario libico venisse ascoltato da una procura italiana, potrebbe saltar fuori il vero costo in tangenti pagato dall’Italia per contrastare l’immigrazione. Tutti soldi a nero, creati ad arte per pagare governi inesistenti. Infatti è dalla fine del regime di Gheddafi che l’Italia tratta con libici che s’autodefiniscono governanti o dignitari: per l’Ue nessuno di questi avrebbe titolo a trattare, soprattutto a ricevere aiuti in denaro.

Un bel pasticcio, e ancora una volta l’Italia pensa di sistemare le cose nascondendo la polvere sotto il tappeto a pochi mesi dalle elezioni.

Aggiornato il 11 gennaio 2018 alle ore 08:10