Berlusconi cita Reagan e l’Italia dell’impresa torna a sognare

Non riposi bene. La notte non sogni da tempo. E gli incubi, sì, quelli non mancano mai. C’è chi ancora non crede che sia tutto inutile o forse, semplicemente, continua a non credere che un uomo così possa essere la rovina di un paese. Tornerebbe a votare per lui perché il lavoro, in fondo, è una fede. Sono da poco passate le 22 di domenica sera quando assopito sul divano fai zapping in tv. Quando clicchi sul telecomando per mettere Rai1, improvvisamente ti trovi di fronte un signore 81enne. Silvio Berlusconi. Lo vedi che risponde agevolmente alle domande di Fabio Fazio ed è così che tra uno sbadiglio e l’altro, ti arriva la stoccata che ti fa trasalire. Questo anziano signore cita Ronald Reagan ed è in quel preciso momento non puoi fare a meno di ascoltarlo. Immaginiamo di tagliare via gli ultimi 23 anni. Che resta del Belpaese? Poco o nulla. C’è Berlusconi che promette, promette e promette ancora. Come chi non è mai stanco di provarci. E i suoi appelli alla rivoluzione liberale non smettono di colpirti. Sono pugni per molti. Sono carezze, invece, o è probabile che lo siano, per il più maledettamente ottimista. Per chi, non è un caso, si sveglia spesso presto al mattino per aprire la sua piccola, piccolissima bottega. Per chi ancora crede che Berlusconi abbia ragione. E non importa, o quasi, che abbia ripetuto quelle parole puntuale ogni volta che doveva tornare a sedere sul trono del governo italiano.

Le parole di Silvio tornano a colpire e in alcuni fanno centro. Inutile negarlo. Cita Reagan e una lacrimuccia scende nella psiche del già provato telespettatore che non ha mai chiesto nulla allo Stato se non un suo ritiro in buon ordine. Chi non crede nella cosa pubblica. Chi spera che in fondo passati questi anni di buio qualcosa cambierà. Chi non molla e chi nonostante tutto, appunto, continua a crederci. La tv è accesa e Berlusconi, l’81enne che si sente un 40enne quando si tratta di campagna elettorale, si appella alla maggioranza silenziosa. Quella che non ama la piazza. Quella che non manifesta. Quella che non si diverte, direbbe qualcuno abituato a sfilare il venerdì dello sciopero di turno.

Erano gli anni ‘80 quando Reagan vinse le elezioni americane. “Erano anni d’oro”, racconta chi li ha vissuti. L’uomo che vinse senza sparare un colpo la Guerra Fredda fece sognare le masse. Le sue riforme in campo economico dettero slancio al paese. Quella sì, prese il nome di rivoluzione liberale. E la attuò non senza problemi. Erano gli anni in cui l’Europa divisa assistette a un altro prodigio della politica conservatrice. La vittoria di Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Questi due personaggi, a cui Berlusconi ha fatto spesso riferimento, guidarono un massiccio piano di riforme e di riduzione dello Stato mai visto prima. Riduzione intesa come tagli alla spesa, meno tasse e, appunto meno Stato. Se aggiungiamo a questi temi anche “meno Europa” viene fuori il neo programma berlusconiano. Magia. Almeno per una volta ancora. 

“Cose, che comunque, arrivano fuori tempo massimo”, direbbe qualcuno. Qualcosa che pesa come un macigno sull’elettore medio. Quello che rischia di “ricascarci” e, allo stesso tempo, quello che non ha mai smesso di crederci. Quello che chiede che il privato vinca sul pubblico. Quello che negli anni ‘80 voleva emigrare negli States. Quello che vuole ancora emigrare, ma che resta stecchito sul divano di casa pensando a quanto sarebbe stato bello che Berlusconi avesse realizzato le promesse di questi anni. Questo signore, l’italiano della domenica sera, si ritrova sorridente in bagno a lavarsi i denti davanti allo specchio prima di andare a dormire. “Berlusconi ha citato Reagan”, pensa. Così si mette a letto. Spera di sognare il futuro. È una vita che non lo fa. “La vita continua”, pensa ancora. Stanco delle tante chiacchiere spegne la tv. Meglio dormire, in fondo domani, è lunedì.

Aggiornato il 27 novembre 2017 alle ore 21:38