La peste e la Zattera di Géricault

È suggestivo – ed evocativo – il richiamo del direttore Arturo Diaconale alla peste manzoniana (L’Opinione del 23 novembre); del resto la lettura dei Promessi sposi, dopo la “peste” che spesso ne riesce a fare la nozionistica imposta dalla scuola, è consigliabile a tutti, una volta ogni due o tre anni. Ciascuno, ne sono certo, ne ricaverebbe tanto. Lettura da accompagnare a I Viceré di Federico De Roberto, e a I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello. Se ne apprenderebbe abbastanza per comprendere, attraverso i racconti di “ieri” quello che anche “oggi” accade; e il come, e il perché. Ma è discorso, questo, che si può fare in altra occasione.

È il richiamo alla peste, che qui intriga e merita di essere sviluppato. In letteratura ne troviamo di vari tipi. Quella richiamata da Diaconale è una peste crudele, una sorta di “livella” per usare l’immagine dell’impareggiabile Totò: colpisce indifferentemente i buoni (frate Cristoforo) e i cattivi (don Rodrigo; e come non ricordare le struggenti pagine di Cecilia, che strappa una lacrima perfino agli induriti monatti...). La peste risparmia il pusillanime, il personaggio in ogni sua manifestazione ripugnante: don Abbondio. Significherà ben qualcosa, con cui il cattolico liberale fa i conti; bye bye, evocata e propagandata “provvidenza”. I due si sposano, infine: ma debbono riparare nella Repubblica Veneta. Chi resta, impunito, è il vile: quel meschino prete emblema dell’umana miseria. E qualche riflessione la meritano gli “untori” e la relativa psicosi.

C’è poi un’altra peste: quella della Maschera rossa nel famoso racconto di Edgar Allan Poe. Il morbo infuria, e il potente arrogante pensa di trovar la salvezza, assieme a una schiera di scelti sodali, standosene ben serrato nel castello, e lì si abbandona a danze e divertimento. Poi, ecco che arriva quella misteriosa maschera. Alla fine, non c’è salvezza; la fuga, il serrarsi dentro, è illusione. Non è con l’indifferenza e il voltare la testa che si viene risparmiati dalla “peste”. Anzi: è il metodo sicuro per restare contagiati; la maschera rossa a un certo punto arriva, e uccide chi crede di essere al sicuro.

C’è poi la “peste” di Albert Camus: annunciata da un topo morto; tutti sottovalutano quel topo. Nessuno comprende quello che accade, fino a quando il germe non provoca la strage. Alla fine i medici trovano l’antidoto, la “peste” viene debellata, ma il bacillo cova, pronto a riesplodere quando meno te lo aspetti. Si deve, insomma, vigilare, vigilare sempre. La “peste” di oggi è una melassa uniforme, che incombe su tutto, e tutto avvolge. Una minaccia totalitaria, caratterizzata da assenza di memoria, di conoscenza, di “sapere”. Da anni contro il dilagare – non solo metaforico – di questo morbo, ci ammoniva Marco Pannella: la peste “italiana” che straborda, va a Nord, ma anche a Est e Ovest, colpisce ovunque. E si è come tanti manzoniani don Ferrante: pedanti, noiosi eruditi, apparentemente immersi negli studi di astratte discipline, specialisti in sciocchezze e scempiaggini (Aristotele, “il filosofo”; Machiavelli, “un mariuolo”), paralitici della volontà e della memoria, convinti che tutti gli eventi siano causati dall’influenza delle stelle, increduli dell’esistenza della peste, e di questa vittime.

Matteo Renzi, e più in generale il renzismo (che è un qualcosa che va al di là del personaggio, e a lui, purtroppo, destinato a sopravvivere) è, da questo punto di vista, un epifenomeno. La “peste” è al tempo stesso più complessa e lineare. È il diritto negato; il diritto al diritto; il diritto alla conoscenza. Per questo è importante che il Partito Radicale raggiunga quota tremila iscritti entro l’anno, e che ci siano tremila persone di buona volontà, che senza rinunciare a un’oncia delle loro convinzioni, delle loro tessere, delle loro opinioni e credo etico-morali-religiosi, si associno a questa organizzazione che vuole gli Stati Uniti d’Europa, e non “questa” Europa, o l’Europa delle piccole patrie; e che ha una visione transnazionale e transpartitica.

È il non voler capire, il non saper comprendere che tutto parte da questi due presupposti (diritto e conoscenza), sono l’Alfa di qualunque alfabeto. Il resto, davvero tutto il resto, è forse – chissà – “pagante”; ma con moneta falsa, e mediocremente falsificata. È piccola, sterile amministrazione di un esistente mediocre, un “ragionevole” molto savio, per nulla saggio. Lo scrivo senza ombra di astio che forse qualcuno mi accredita e pensa di scorgervi. Quella parte di radicali che s’usa definire “di Emma Bonino”, tutta protesa in accordicchi con Tizio, Caio o Sempronio, mi appare come quei disgraziati sulla “Zattera della Medusa” di Théodore Géricault: vittime di comandanti alla Hugues Duroy, senza attendere il nono giorno, già ora si divorano l’un l’altro, muoiono di fame, o si gettano in mare disperati. E così, “appestati”, sacrificano e sperperano quello in cui dicono di credere, ciò in cui hanno creduto di credere.

Occorre, per esempio, essere consapevoli che si sta riscrivendo una nuova Yalta, che va al di là dell’Europa. Nella “nuova” fotografia non ci sono solo gli equivalenti di Churchill, Roosevelt e Stalin; ci sono una quantità di altri protagonisti, di altre “guest star”; e il palcoscenico spazia dall’Africa all’America Latina, dall’Asia estrema a luoghi accessibili solo a patto di avere determinate password, pochissimo spazio fisico, enorme potere concreto. Ci sono delle “spie” che dovremmo cogliere e valutare appieno per quello che sono, prodromi di inquietanti scenari che si prospettano. Qualche tempo fa in Marocco qualcuno si era messo in testa di mettere al bando la filosofia, ritenuta blasfema e anti-Islam. Per fortuna l’associazione dei docenti di filosofia del Marocco si è rivoltata; qualcuno li ha aiutati e li sostiene, questi docenti? Ci sono inquietanti sondaggi secondo i quali solo il 35 per cento dei giovani arabi crede che sia possibile la democrazia nei loro Paesi. Questa mancanza di speranza è inquietante.

Ultimamente si parla poco del terrorismo islamico, è altro che interessa e “distrae”; al di là dei fanatici e dei criminali, colpisce che una persona cauta e capace come il generale Mario Mori dica che si tratta di una prosecuzione politica di poteri sfuggenti e reali, oscuri, gli arcana impèrii si diceva un tempo. Un metodo e una logica dietro questa follia terroristica, e non solo la divisione di sfere di interesse e dominio in Medio Oriente. Viviamo un gattopardismo rovesciato: molto sembra uguale, eppure tutto è cambiato. C’è un bel verso dell’Eneide: “Quanto è diverso da quello che è stato”. Vale per la situazione italiana, per fuori dall’Italia e, naturalmente, per tutti noi. Capire questa “diversità” mi pare sia la premessa indispensabile per successivamente poterci vaccinare da questa peste, una e trina, che minaccia di travolgerci.

Aggiornato il 24 novembre 2017 alle ore 09:25