La Costituzione e sua mitologia

Ci si accinge alle celebrazioni, in pompa magna, del settantesimo anniversario della Costituzione repubblicana, senza però - quale condizione essenziale - che siffatta rievocazione si proponga come occasione di una seria riflessione storico-critica, rimanendo così anch’essa confinata nella retorica e nell’apologia di questo regime.

Insomma, un altro momento essenziale di una memoria storica volta a potenziare l’apparato ideologico di questa Repubblica al collasso e finalizzato a mantenere la base dell’ordine sociale esistente.

Di certo, criticare la Costituzione è come dir male di Manzoni, ed espone alle peggiori accuse, ma senza un’impietosa analisi del suo impianto, da condurre non con le timidezze che la rituale soggezione alla mitologia costituente fa pesare sul dibattito costituzionale, è difficilissimo che si possa uscire dalla putrida palude in cui si versa.

Se è vero che condizione fondamentale per la ripresa del Paese era la ricostruzione di una coscienza unitaria degli italiani, da formarsi attraverso una rinnovata identità nazionale coniata sui valori della democrazia repubblicana, ben presto l’unità si sfaldava ed emergeva con chiarezza un antagonismo inconciliabile tra opposti modelli nazionali, che aveva radici in una equivoca visione degli scopi dei protagonisti della Resistenza, che, una trasfigurazione mitopoietica, da sinistra, portava a mitizzare come un “Secondo Risorgimento”.

Cosicché, se la nostra Costituzione, ritualmente presentata come il frutto superbo della vittoria del popolo e di una epopea di libertà, è davvero nata dalla Resistenza, è vero pure che ne porta le stimmate. E sono tare ereditarie, così rilevate, già allora, da un eminente giurista: “Per compensare le forze di sinistra della rivoluzione mancata, le forze di destra e la Dc non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa” (Piero Calamandrei).

La Costituzione è nata così. È stata un compromesso. Ma non nel senso profondo di un accordo sull’idem sentire de Republica, ma un compromesso negativo, una soluzione incoerente e assai discutibile, determinata da motivi contingenti; un compromesso altamente deteriore in conseguenza del fatto che i partiti della cosiddetta “esarchia”, che avevano dato luogo al Comitato di liberazione nazionale, erano tutti, ad eccezione del Partito liberale, lontani o addirittura antitetici al liberalismo classico e al costituzionalismo vero. Qui, dunque, gli equivoci della nostra democrazia, solo apparentemente liberale, ma nata in realtà da una sconfitta del liberalismo storico: cosa avevano in comune un maestro di etica liberale, come Einaudi, un santo cristiano, come De Gasperi, e un cinico comunista, come Togliatti, correo di crimini staliniani e capo del Pci, fedele al comunismo internazionale? Fu un urto mortale tra l’individualismo liberale e il socialismo statalista, la più fosca incarnazione dell’ancestrale istinto collettivistico, che appartiene alla natura selvaggia dell’uomo ed è sempre in agguato.

In difesa strenua di questo impianto politico-istituzionale, edificato su una forma tarda di Costituzione giacobino-assembleare, continua così a pesare, come freno alla “grande riforma”, la mitologia della Costituente del 1946/47 e della Carta che ha prodotto, che seguita a segnare i destini, sempre più amari, di questo Paese. E non c’è nulla di più umoristico che sentire glorificare un consesso di persone, trasformate in “Padri della Patria”, che, come quello, era totalmente privo di cultura giuridica internazionale, economica e politica.

Cosicché, troppo spesso gli “intellettuali di corte”, corifei e lacchè di regime, si sono lasciati andare ad esaltazioni mitologiche di quel prodotto, tramutando in un oggetto di culto para-religioso un mero strumento di propaganda di valori piuttosto che di garanzia di diritti.

Se Thomas Jefferson, due secoli addietro, aveva a dire: “Vi sono alcuni che guardano alle Costituzioni con religiosa riverenza e le considerano alla stregua dell’Arca dell’Alleanza, troppo sacre per essere toccate”. Luigi Sturzo avvertiva che “l’ingerenza dello Stato sarà tale che il cittadino dovrà cominciare a pensare come difendersi dallo Stato che si va creando”. E Gaetano Salvemini: “Da quelle scempiaggini sta per uscire la Costituzione più scema che sia mai stata prodotta dai cretini di tutta la storia dell’umanità!”.

Delineato così l’infausto quadro genetico del nostro “mitico” assetto costituzionale, è d’uopo rinviare a un successivo scritto, in uno a un’esegesi più puntuale di alcuni dettami costituzionali, la disamina delle nefaste conseguenze sullo sviluppo democratico del nostro Paese, sprofondato in una palude maleodorante, e sperare che non sia come suonare la Cavalcata delle Valchirie a una platea di sordi.

Aggiornato il 20 novembre 2017 alle ore 19:09