Più che ammonire serve riformare la Giustizia

mercoledì 11 ottobre 2017


Condivisibile e significativo il richiamo dell’inquilino del Quirinale alla magistratura, anche perché Sergio Mattarella oltreché dello Stato è anche il capo del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm).

Volendo però approfondire il tema riscontriamo che negli ultimi venticinque anni di ammonimenti, anche molto più forti, ve ne sono stati. Basterebbe pensare a quello di Francesco Cossiga, che minacciò l’intervento dei carabinieri se il Csm si fosse riunito senza la sua approvazione. Addirittura Oscar Luigi Scalfaro a reti unificate nel messaggio di fine anno strillò il suo “non ci sto” verso i magistrati all’epoca di Tangentopoli.

Dunque la storia è ricca d’interventi dei capi dello Stato nei confronti dei rappresentanti dell’ordine giudiziario, eppure nulla è cambiato e si vede. Va da sé supporre che se tanto è stato necessario nel tempo qualcosa di poco normale si sia verificato nell’essere e nell’apparire della magistratura. A questo punto la domanda è d’obbligo: Perché tante reprimende e nessuna riforma? Perché la politica non riesce a procedere con una riscrittura costituzionale dell’ordinamento giudiziario?

In fondo delle due l’una, o si spera che con una semplice tiratina di orecchie tutto migliori, oppure il parlamento è subordinato al punto tale da non riuscire a riformare la giustizia. Ora escludendo la seconda ipotesi per ovvie ragioni e preso atto che serva di più per migliorare le cose, la strada di una riforma è ineludibile. Separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, Csm, così come formazione, mezzi, organico e quant’altro, non possono più essere trasferiti al dopo.

Del resto, il fatto stesso che dai sondaggi sia pericolosamente in aumento la sfiducia dei cittadini nei riguardi dei magistrati la dice lunga sulla necessità d’interventi. Qui non si tratta solo di apparenze e dunque di sovraesposizioni mediatiche o tendenze alla passerella, si tratta che oramai la gente vede la giustizia più vicina ai colpevoli che alle vittime. Per non parlare della certezza della pena, dell’interpretazione del diritto e di una sempre più evidente sorta di arbitrio personale nella conduzione delle indagini e nei procedimenti. Per questo mentre ringraziamo il capo dello Stato per la sua preziosa vigilanza, invitiamo il Parlamento a prendere perentoriamente atto di una realtà non più procrastinabile.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca