Caro professore, l’Ue c’entra eccome

Mario Monti domenica scorsa dalle colonne del Corriere della Sera si è prodotto in una delle sue sviolinate a difesa dell’Unione europea sul caso Catalogna. Sia chiaro, ognuno pensa quel che vuole e la gente il “Monti pensiero” lo conosce bene, ma in questo caso l’errore del professore, se possibile, è più grossolano dei precedenti. Sorvoliamo dunque sulla quantità purtroppo nota di abbagli del professore, senatore a vita, ex premier, accademico, ex Commissario Ue, insomma super titolato personaggio. Del resto basterebbe intervistare un po’ di cittadini dal Nord al Sud del Paese per verificare la qualità del ricordo che gli italiani conservano del suo governo.

Sulla Catalogna però il granchio è tanto evidente quanto elementare, perché la Ue c’entra eccome, come c’entrano ovviamente le sviste del Governo Rajoy. Il premier spagnolo, infatti, troppo tardi si è deciso a occuparsi di un problema che anziché trascurato andava affrontato per tempo e risolto con la forza del dialogo. Del resto in quale modo le spinte autonomiste, di cui l’Europa intera pullula, possono contrastarsi e pacificamente chiarirsi se non con il confronto democratico? Perché sia chiaro il nostro continente è storicamente attraversato da una grande quantità di desideri indipendentisti, dal Belgio alla Francia, ai Paesi dell’Est fino ovviamente a quelli spagnoli e, perché no, italiani. Non si tratta dunque di stare da una parte piuttosto che dall’altra, salvo che ogni rivendicazione debba indiscutibilmente manifestarsi solo nei riferimenti costituzionalmente consentiti. Si tratta, al contrario, di chiedersi il perché dalla nascita dell’Ue e, specialmente in questi anni di crisi, tali fenomeni si siano evidenziati e amplificati.

Infatti, non può essere una casualità che alla compressione della sovranità, all’imposizione di austerità, all’aumento dei vincoli e delle limitazioni imposte dalla Ue per volontà germanica, la voglia di ribellione sia cresciuta ovunque. Tanto è vero che lo scricchiolio dell’Europa è diventato sempre più evidente proprio nella stagione in cui al contrario avrebbe dovuto produrre quegli effetti salvifici, unificatori, solidaristici, propri del progetto originale. Ecco perché se così non è stato è solo ed esclusivamente per via di un disegno europeo nato male e cresciuto peggio. L’assenza di un vero criterio politico-federalista e di una Costituzione unanimemente riconosciuta sono, invero, alla base delle grandi problematiche attuali.

Non può essere una moneta e una serie di trattati e di vincoli economici restrittivi e soffocanti a spingere verso l’unità, la solidarietà, la fratellanza e la concordia fra popoli tanto diversi. Meno che mai può esserlo se alla prova dei fatti e del tempo in un progetto come quello della Ue c’è chi ci guadagna tanto e chi ci rimette e basta. Insomma, lo strapotere della Germania, il peso vincolante dell’asse franco-tedesco, i sacrifici imposti dalla cancelliera Angela Merkel ai partner, sommati alla crisi di questi anni hanno creato le condizioni per reagire. Per non parlare dell’assenza di una politica estera comune e del fallimento di una scriteriata politica dell’immigrazione voluta sempre dalla Germania. Ecco perché Monti continua a sbagliare e il desiderio di autonomia dei territori ad aumentare. Serve un’altra Europa che tenga conto delle diversità, delle specificità, che non soffochi le sovranità e semmai le contemperi per il bene collettivo. Serve un’Europa che unisca rispettando le volontà popolari, formandole semmai a un nuovo modo di stare insieme a vantaggio di tutti. Solo così il progetto andrà a buon fine e coglierà il segno del principio “tutti per uno, uno per tutti”, altrimenti dopo la Catalogna seguiranno altri episodi. Parliamoci chiaro, se alla guida della Banca centrale europea in questi anni non ci fosse stato un altro “Mario” che di cognome fa Draghi, la Ue si sarebbe scomposta e divisa su tutto e irrimediabilmente.

Tra un anno Mario Draghi passerà la mano e i falchi tedeschi sono pronti ad azzannare la Eurotower con politiche restrittive e ancora più germanocentriche; un orizzonte poco azzurro e poco inclusivo. Non c’è molto tempo dunque per capire che o si cambia progetto e si ricomincia da capo e dal verso giusto, o di Catalogne ce ne saranno altre. Riflettiamoci, facciamolo insieme, facciamolo bene e facciamolo adesso.

Aggiornato il 09 ottobre 2017 alle ore 19:46