Dopo il caos in Catalogna a Bruxelles studiano l’Italia in rivolta

Dai sondaggi del professor Nicola Piepoli emerge che, più di quattro italiani su dieci starebbero seguendo la vicenda catalana, soprattutto parteggerebbero per la secessione dalla Spagna: sperando che l’effetto domino delle rivolte possa poi infiammare l’Italia. Lo stesso sondaggio farebbe emergere che il 44 per cento degli italiani sarebbe pronto ad abbandonare l’Unione europea, un quasi 30 per cento non si sarebbe espresso, e solo un gramo 30 per cento parrebbe ancora incline ad accettare di far sacrifici per l’Europa. Sondaggi e studi che, dopo le rivolte in Catalogna, hanno calamitato le attenzioni di uno dei massimi esperti di “conflitti anti-Ue”, ovvero il professor Bruno Coppieters che, da buon filo-Ue (e filo Macron e Juncker) ha subito detto che “non c’è rischio di effetto domino nell’Ue”. Coppieters è professore presso la Libera Università di Bruxelles (storica istituzione fiamminga): è lui il guru europeo dei conflitti secessionisti, pensate che venne consultato persino per misurare l’eventuale forza secessionista della Lega Nord ai tempi di Bossi.

“Le istituzioni europee - afferma Bruno Coppieters dai microfoni di Euronews - non possono svolgere un ruolo di mediazione perché non sono abbastanza indipendenti, sono troppo legate alla Spagna... Non credo potrebbe esserci un effetto domino se la strategia degli indipendentisti catalani avesse un certo successo, ma non è davvero probabile. Quindi gli altri partiti indipendentisti e nazionalisti europei hanno riflettuto sulla questione, pensano a una strategia a lungo termine. E vediamo che evitano una decisione unilaterale di questo tipo, per timore di restare isolati”.

Ma a Bruxelles starebbero monitorando proprio l’Italia, dove il rischio non sarebbe la secessione d’alcune regioni, ma l’eventualità di rivolte contro le istituzioni nazionali e regionali, e una escalation di violenza da parte di disoccupati ed esclusi contro l’alta dirigenza di Stato (sia politica che di carriera burocratica). Un rischio che dipenderebbe dalla ormai diffusa e radicata non accettazione delle normative europee che hanno favorito la moria di posti di lavoro, la chiusura di aziende (anche storiche) e, soprattutto, l’aumento della tassazione. E non è certo un caso che contro la secessione catalana si sia schierata la corporation Standard & Poor’s, la stessa che appoggia ogni iniqua manovra di bilancio dei governi italiani.

Ecco che più osservatori concorderebbero sul fatto che in Italia non sarebbe all’orizzonte una vera e propria rivoluzione, capace di detronizzare una ormai marcescente classe dirigente. Bensì un grappolo, o meglio un pulviscolo, di rivolte spontanee. Che secondo certi potrebbero coagularsi in una rivolta ben più organizzata, e per altri solo focolai destinati a spegnersi da se o facilmente piegabili dall’intervento di polizia ed esercito. Ma è quest’ultimo aspetto che dovrebbe farci riflettere. Perché se le rivolte, animate da disoccupati ed indigenti, dovessero essere sedate con la forza, difficilmente si potrebbe nuovamente respirare un clima di libertà e democrazia. Anzi l’Italia, in compagnia di Spagna e Grecia, s’avvierebbe verso la strada della democrazia militarmente protetta. Considerando che già siamo una democrazia “bancariamente protetta”, allora diverremmo una democrazia “bancariamente e militarmente protetta”.

A memoria d’uomo esempi similari riusciamo a coglierli solo nell’America latina, dove i governi sono spesso espressione d’intese tra banchieri e militari, eredi degli idalgo che colonizzarono ed amministravano il paese come fosse la loro fazenda. In pratica un Renzi o un Di Maio, appoggiati da banche ed esercito, potrebbero ergersi a caudillo d’Italia. Nella speranza che il sarto non stia già misurando divise in grigioverde od orbace ad entrambi, confidiamo in cazzute rivolte dello stomaco contro i camerieri dell’Ue.

Aggiornato il 05 ottobre 2017 alle ore 21:46