Catalogna e referendum

La vicenda del referendum indetto dalla Catalogna per ottenere, con sanzione popolare, l’indipendenza da Madrid, induce ad importanti riflessioni, che non riguardano solo la Spagna, ma, più generalmente, tutte le realtà statuali, nelle quali, in nome di un malinteso diritto all’autodeterminazione dei popoli, si manifestino spinte separatistiche che, varcando i limiti dell’autonomia, costituzionalmente riconosciuta e garantita, pretendano di formare nuovi Stati, vicenda alla quale non è rimasto estraneo, negli anni recenti, neanche il nostro Paese, seppure in circostanze assai minori (e talvolta folkloristiche) di quelle invece (almeno apparentemente) drammatiche del caso catalano.

Peraltro, nel colpevole ritardo del processo di integrazione europea, che stenta a procedere sul versante della costituzione di uno Stato federale, sempre più necessario per affrontare i problemi della società globale, si verificano, da più parti in Europa, spinte regionali che, richiamando vicende storiche superate dagli atti costitutivi degli Stati contemporanei, rivendicano l’indipendenza e la formazione di nuovi piccoli Stati.

Con tali spinte, il diritto all’autodeterminazione dei popoli, giusto e naturale, seppur troppo spesso vagamente idealizzato, non ha alcuna attinenza, per la semplice ragione che esso non può comportare, se non contraddicendosi, la rottura della legalità costituzionale di uno Stato democratico. A ciò non può opporsi il caso del referendum scozzese del 2014 (peraltro con esiti negativi per i promotori indipendentisti), poiché la Costituzione materiale britannica, che affonda le radici in una più lunga e ben distinta tradizione (Magna Charta del 1215), consente, senza traumi, una tale espressione.

Al contrario, è singolare che, nel caso della Catalogna, istituzioni (quali la Comunità Autonoma), create dalla Costituzione spagnola del 1978, nata riscattando il periodo franchista della dittatura, promuovano un processo distruttivo dell’ordinamento e dell’assetto costituzionale dello Stato, che la Carta Fondamentale, democraticamente approvata dai rappresentanti eletti del popolo spagnolo e dal successivo referendum popolare svoltosi il 6 dicembre 1978, ha stabilito. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli non può legittimare il colpo di stato in uno Stato costituzionale e democratico, quale la Spagna.

Bene hanno fatto, pertanto, il Governo di Madrid e la magistratura spagnola a reagire con fermezza e ad affermare il primato insostituibile della legalità costituzionale, adottando i conseguenti provvedimenti, anche di cautela, nei confronti di chi l’ha posta improvvidamente in pericolo, pur svolgendo una funzione istituzionale che gli impone il rispetto, secondo i principi dello Stato di diritto, delle sentenze del Tribunale Costituzionale, che ha sancito l’illegittimità del referendum indetto per il 1° ottobre.

Quanto alla polizia, non si può mettere sullo stesso piano la forza pubblica che, doverosamente, con l’uso di mezzi legittimi ed anche coattivi, ove necessario, difende la legalità costituzionale e coloro (in realtà una minoranza) che, resistendo alla stessa e commettendo reati, si propongono invece di spezzare tale legalità, con un comportamento che, seppur edulcorato da affermazioni vagamente idealistiche e universali, è questo sì eversivo e golpista. Bene ha fatto l’Europa ad appoggiare il Governo di Madrid, non prestando il fianco a rivendicazioni e populismi di vario genere, che, trincerandosi dietro nobili principi, invece disattesi, costituiscono, nel loro particolarismo, i primi ostacoli al processo di integrazione europea. Di ciò l’Unione deve assumere consapevolezza, se vuole evitare che la prossima disintegrazione riguardi se stessa e con essa, purtroppo, il sogno europeista di tanti di noi.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino

Aggiornato il 02 ottobre 2017 alle ore 18:58