Sono un orgoglioso europeo antieuropeista

mercoledì 27 settembre 2017


Nei salotti di Bruxelles la cosa che più non tollerano è pensare che possano esistere degli europei antieuropeisti. Loro preferiscono tacciare di becero estremismo chi contesta le teorie e gli anatemi partoriti in quel di Bruxelles. Così è stato per Le Pen e Orban, accusati di impresentabilità e di voler riportare nuove guerre civili all’interno dell’Europa. Lo hanno fatto anche con l’iniziativa Defend Europe, la nave che questa estate presidiava il Mar Mediterraneo anche per vigilare quanto durassero i salotti di scambio tra alcune Organizzazioni non governative e decine di scafisti.

Ma un sentimento identitario europeo di stampo non europeista sta da tempo sviluppandosi in tutto il Vecchio Continente. Si tratta di francesi, italiani, ungheresi, tedeschi, spagnoli, polacchi che si parlano tra loro, orgogliosi della propria identità nazionale e, allo stesso tempo, pronti a un dialogo tra pari, a un confronto per il bene della propria Nazione e quindi dell’Europa intera. Si parlano tra loro, per farla veramente questa Europa, perché di fatto quella che chiamano Ue poco ci azzecca con quella storia, quel patrimonio culturale e politico, quelle tradizioni che, soprattutto rispetto al contesto internazionale, possono rappresentare realmente un comune denominatore fondante.

Un esempio, a quel che se ne dica, è costituito da Viktor Orbán. Il leader ungherese, che gode di ampio consenso in Patria, è riuscito a sfidare l’Unione europea sui migranti, chiudendo le frontiere. Ha battuto Bruxelles su conti pubblici e parametri, alimentando comunque crescita economica ed occupazionale. Non ha aperto le porte neanche al Fondo Monetario Internazionale e ai suoi arcinoti prestiti al costo di diritti politici, sociali ed economici del paese beneficiario. Ama l’Ungheria e crede nell’Europa, tanto da arrivare a dire che vorrebbe portargli in patrimonio quanto di buono la sua Nazione ha da offrire. Che poi è il senso dell’Europa, un grande contenitore in grado di racchiudere le diverse culture che nei secoli si sono formate e confrontate fino a costituire uno zoccolo duro in comune, in grado di distinguersi dal resto del mondo.

È spesso proprio nel raffronto con quanto c’è all’esterno che si può formare ancora di più un sentimento comune, di identità. Un Continente che sappia dare, a sua volta, qualcosa a un mondo che ne è carente. Che dialoghi con gli Stati Uniti, consapevole e dei tanti punti di comunanza e dei differenti modi di vedere il mondo e di difendere i propri interessi. Interessi che sono spesso diversi da quelli di Trump e che, talvolta, sono gli stessi di Putin e della Russia. Solo con una riscrittura completa, rigorosa e degnamente negoziata dei Trattati possiamo evitare l’uscita dall’euro. Un’ipotesi che starà in piedi finché resteranno quei trattati, finché non si riscriveranno i rapporti di forza all’interno di questa Europa.

L’Europa delle Patrie è allora la strada ideale, che si sta formando tra i giovani, nelle università e nelle scuole, anche tra le strade e sui posti di lavoro. Un’Europa che sarà tale perché a farla saranno gli europei, non alcuni europeisti. E tra i Trattati possiamo riscrivere anche quello costituente, quella famosa Carta che negò la presenza delle radici cristiane tra i fondamenti di questa Europa e che, già di per sé, ne prescriveva l’aborto. E, per l’Italia, in quella costituente c’era un tale Gianfranco Fini: non è un caso infatti che tutto andò male e l’Europa non nacque mai.

 (*) Consigliere regionale del Lazio membro dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia


di Fabrizio Santori (*)