Con i Cinque Stelle non si scherza

L’errore più grave che si possa commettere con i Cinque Stelle è sottovalutarli. La festa di Rimini ha consacrato Luigi Di Maio nuovo capo del Movimento. Le modalità di votazione dei candidati e il profilo personale del nuovo leader hanno scatenato una ridda di commenti improntati al dileggio e alla rappresentazione caricaturale del prescelto “conducator”. A nostro riguardo si è trattato di un modo sbagliato di approcciare la questione. Non è offendendo o ridicolizzando il giovanotto che si può credibilmente fare argine a un fenomeno che resta una preoccupante incognita per il Paese. Non a caso da tempo denunciamo la natura idroponica del Movimento. Cosa vuol dire? Che l’avere, con astuzia dei fondatori, piantato le radici nell’acqua offre ai pentastellati ampi margini di torsione nella definizione dei propri contenuti programmatici. Non essere ancorati a un passato consente loro di non rispondere a una storia sedimentata nella coscienza profonda della comunità. Tale apolidia ideologica ha facilitato la raccolta di un consenso trasversale fondato sulle pulsioni viscerali di quella quota d’umanità scontenta della propria condizione esistenziale. È stata una tattica aggressiva calibrata per il breve periodo che però ora deve essere rimodulata pena la perdita di presa sull’elettorato. Allora perché Di Maio?

Verosimilmente è stata una scelta imposta dalle circostanze. La frattura interna al Partito Democratico che ha dato luogo alla nascita di Articolo-1 Mdp, lungi dall’essere una volgare bega tra galli di uno stesso pollaio, ha corrisposto a un’istanza di riappropriazione di spazio politico da parte di quella corrente carsica vetero-socialista abiurata dalla svolta bleariana di Matteo Renzi. La proliferazione a sinistra del Pd inibisce ai Cinque Stelle il drenaggio di ulteriore consenso in un’area che un Partito Democratico egemone non avrebbe lasciato libera.

Se a sinistra la strada è ostruita per i grillini diviene inevitabile guardare nella direzione opposta, dove un grado di contendibilità dell’elettorato è ancora possibile. Cioè a destra. Anche la lotta intestina che ha contrapposto Luigi Di Maio a Roberto Fico deve essere letta in questa chiave prospettica. Purtroppo la semplificazione mediatica non ha aiutato. Rappresentare Fico come il guardiano dell’ortodossia grillina rispetto a un’ipotetica svolta giovanilista imposta da Di Maio non è la realtà. Forse che Luigino sia meno ortodosso degli altri? La linea-Fico, che è stata sconfitta a Rimini, incarna un’idea di Movimento declinata secondo il lessico della sinistra, che si contraddistingue per un approccio alla quotidianità delle problematiche sociali e d economiche di segno e di contenuto marcatamente progressisti.

Al contrario, Di Maio si è assunto il compito di entrare in sintonia con quella parte dell’Italia moderata ma scettica sulla possibilità che le forze politiche tradizionali di centrodestra siano in grado di assicurare al Paese una guida efficace. Si dirà: Di Maio è un dilettante, sarebbe da pazzi affidargli un compito tanto grande. Ma chi ha detto che il progetto messo in campo da Grillo e Casaleggio sia per l’oggi e non abbia invece un orizzonte temporale più ampio? L’odierna candidatura del giovanotto non è, se non formalmente, alla guida del prossimo governo, ma alla leadership di un’opposizione forte e incalzante. Gli strateghi Cinque Stelle scommettono sulla ridotta durata della prossima legislatura e sull’instabilità che si produrrà a causa della frammentazione del voto quale diretta conseguenza del sistema elettorale d’impianto proporzionale.

Uno stato prolungato d’incertezza e di confusione nella tenuta di maggioranze precarie e volatili, magari alimentate in corso d’opera dallo stillicidio del cambio di casacca dei parlamentari, spianerebbe un’autostrada al futuro successo dei Cinque Stelle. Il Movimento, nel frattempo, si sarà proposto all’immaginario collettivo nelle rassicuranti vesti dell’unica forza politica integra e coerente. E avrà acquistato tempo per completare il processo di maturazione della sua classe dirigente. I grillini oggi puntano la prora contro i partiti del centrodestra perché è nel loro blocco sociale di riferimento che intendono dare battaglia. Ora, piuttosto che dedicarsi a insultare il ragazzino di turno, l’erigenda coalizione di centrodestra farebbe bene a prepararsi allo scontro frontale dal quale soltanto uno esce vincente. O il centrodestra o i Cinque Stelle. L’imminente tornata elettorale siciliana renderà plastica questa ordalia. Con ciò confermando che quando si tratta di fare gli interessi degli italiani non c’è da scherzare. Mai.

Aggiornato il 26 settembre 2017 alle ore 21:24