Incognita proporzionale

“Rieccola”, dunque, la (legge) “Proporzionale”. Incubo e spettro di molti, archiviata con infamia e ignominia dal Referendum Segni dell’aprile 1993, parzialmente interrata nell’agosto dello stesso anno dalla Legge Mattarella (detta “Mattarellum”, per graziosa definizione dell’indimenticabile e geniale Professor Sartori), che la conservava in parte; definitivamente seppellita dalla Legge Calderoli (che il suo promotore autodefinì, poco elegantemente, “Porcellum”, con tutti i sottintesi del caso) del dicembre 2005, che dava potere assoluto di “nomination” alle segreterie di partito, grazie alle liste bloccate. La sua versione successiva, la legge del maggio 2015, o “Italicum”, che assegnava un sostanzioso premio di maggioranza alla coalizione vincente, è invece stata affondata dalle sentenze della Corte Costituzionale prima, e poi dalla bocciatura del Referendum costituzionale voluto dal Governo Renzi. Oggi, eterna Fenice, la “Proporzionale” rinasce a cura della Corte Costituzionale la cui “sartoria”, però, ricorda il costume di scena di Charlie Chaplin: troppo corto alle caviglie e troppo largo nel busto e nelle maniche. Cioè, fa (sor)ridere. Non troppo, per la verità.

Personalmente, sono profondamente contrario alla commistione dei poteri. Così, se la politica lasciasse le cose come stanno, con un piccolo aggiustamento tecnico in “Zona Cesarini”, per un minimo di armonizzazione tra i sistemi elettorali distinti di Camera e Senato, vorrebbe dire che sono i giudici (anche se i più autorevoli!) che fanno le leggi, e non viceversa. Temo che gli elettori non la perdoneranno ai nostri politici, facendo salire l’astensione a livelli record. Cui prodest? Cioè, c’è qualcuno, qualche forza politica che ritiene di potersi sostanzialmente avvantaggiare dalla diserzione in massa delle urne? Ne dico due a caso: Pd e M5S. Facciamo quattro conti. Ammettiamo di avere 50 milioni di aventi diritto al voto e che l’asticella finale dell’astensione si attesti al 50 per cento e che i due suddetti partiti (movimenti) ricevano ciascuno il 25 per cento dei voti validi. Quindi, con all’incirca sette milioni di suffragi a testa, chi dei due avrà avuto un solo voto in più potrà indicare al presidente della Repubblica un suo rappresentante per ricevere l’incarico di formare il Governo di inizio Legislatura. Ma, e qui i conti di Renzi di tornare a Palazzo Chigi potrebbero rivelarsi pericolosamente (per lui!) infondati, prima di tutto chi vince dovrà scegliere “a posteriori” con chi allearsi.

A oggi, nessuno scenario consente un governo di coalizione a due. Quindi, escludendo per incompatibilità assoluta un’alleanza tra Pd e M5S, le combinazioni possibili sono: a) Renzi + Berlusconi + X; Renzi + Sinistra + Y(che, in questo caso, non potrà essere Berlusconi!); b) M5S + appoggio esterno; c) M5S + Lega + Destra (alleanza sovranista-populista). Quale sarà il fattore determinante che deciderà la combinazione vincente (trovati un “X” e un “Y” compatibili)? Semplice: l’immigrazione. Poiché la sinistra, con la sua retorica irenistica sull’accoglienza indiscriminata, ha perduto da tempo il suo “popolo” (Luca Ricolfi, nel suo “Sinistra e Popolo”; Federico Rampini nel “Tradimento delle élite”) e, con lui, il contatto con il reale quotidiano delle persone comuni, il rischio che arrivi “seconda” nella corsa elettorale con il M5S appare, attualmente, piuttosto elevato. Quindi nell’ipotesi Pd + Fi + Altri, con ogni probabilità il premier non sarebbe Renzi ma Minniti, o Tajani. Quest’ultima candidatura “centrista” consentirebbe, in particolare, di avere una figura autorevole e rispettata a Bruxelles, per controbilanciare l’asse di ferro Macron-Merkel e tenere ben saldo il timone della ridiscussione dei Trattati di Dublino e Shengen.

Ancora peggio per il sognatore di Rignano sarebbe lo scenario di Pd + Sinistra + Altri, in cui il terzo incomodo alleato (centrista) farebbe da ago della bilancia, e avrebbe l’appoggio di tutti i numerosi nemici di Renzi per proporre un suo candidato alla guida del governo. Tuttavia, se il vento impetuoso che spira dalla protesta dei ceti popolari nei confronti degli immigrati irregolari (chi crede che gli italiani siano razzisti è in assoluta malafede!), allora la seconda configurazione - distinta nelle due suddette fattispecie - potrebbe prevalere su tutte le altre logiche. In primo luogo, in base a b), dando il via libera a una vera e propria alleanza coerente, con un’equa ripartizione delle poltrone ministeriali sulle sue tre componenti. Più probabile, però, un monocolore M5S, con l’appoggio esterno dei sovranisti, in base alla regola dei pentastellati che rifiutano ogni alleanza, ma accetterebbero di volta in volta “i voti di chi ci sta” sui singoli punti del loro programma. In quest’ultimo caso ci troveremmo di fronte al garretto corto della volpe che non arriva all’uva, in cui la fine anticipata della Legislatura sarebbe un fatto scontato e, in fondo, gradito a Grillo e sodali, per sottrarsi alla prevedibile graticola romana, come quella che da tempo surriscalda la poltrona del sindaco di Roma. Sarebbe, però, come se dal cielo piovessero le rane, con i problemi seri e le emergenze drammatiche che attendono l’Italia nei prossimi anni!

Aggiornato il 19 settembre 2017 alle ore 11:54