Una legislatura tutta da dimenticare

Approvata la Legge di stabilità, si sta per chiudere una delle legislature più perniciose della nostra storia. Una legislatura che ha visto tre Premier non eletti, una quantità di transfughi e voltagabbana mai vista, una maggioranza di governo con dentro tutto e il suo contrario pur di comandare. Una legislatura iniziata con le tasse e la persecuzione fiscale, che sta finendo con l’Italia invasa e impaurita da una immigrazione fuggita a ogni controllo. Una legislatura segnata da scandali e opacità nella contiguità politica affari come raramente capita di vedere e da una sudditanza imperdonabile verso la Ue. Una legislatura, infine, segnata dall’arroganza, il menefreghismo verso la sovranità popolare e dalla mancanza di senso laico dell’amor patrio da far venire la pelle d’oca.

Cinque anni durante i quali, al di là delle sirene che in questi giorni strombazzano crescita e successi, ha visto peggiorare quasi tutto. È peggiorato il debito pubblico, il clima sociale, il peso fiscale, il funzionamento dei servizi pubblici, alla faccia della ripresa di cui tanto si parla. L’occupazione, tranne che per minimi segmenti, resta un problema enorme, la Pubblica amministrazione un ginepraio di inefficienza e il fisco una persecuzione ossessiva. Per non parlare delle banche e di quello che è costato e costa ai cittadini in termini di prezzo riparare agli scandali e agli imbrogli noti alle cronache. In mezzo a tale ben di Dio, nel corso di questa legislatura si è dato il via scriteriatamente a una politica dell’accoglienza che definire perniciosa è un eufemismo.

Insomma, dopo cinque anni di governo cattocomunista, mai come in questo caso il termine è calzante, l’Italia si ritrova peggio di prima. Infatti, se per un verso e solo per motivi congiunturali, il Pil segna una crescita, per l’altro i vulnus strutturali restano intatti e se possibile aggravati. La giustizia resta ingiusta, lenta e lontana da chi subisce, i servizi pubblici un coacervo di costi e inefficienze, le disuguaglianze sociali una realtà vergognosa. Basti pensare alle pensioni d’oro, ai vitalizi, ai privilegi di Stato, ai diritti del contribuente sempre più negati, agli sperperi di denaro pubblico e alla corruzione. I giovani sono stati abbandonati a se stessi e il Jobs Act si è rilevato un pannicello caldo, i bonus solo coriandoli elettorali per sprecare soldi. Se in questi cinque anni non ci fosse stato Mario Draghi a salvarci, saremmo finiti dritti dritti  nel default sociale, economico e finanziario.

Altro che vittorie e successi delle politiche di governo, il centrosinistra, i cattocomunisti affiancati da un gruppetto di transfughi opportunisti, ci hanno ridotti al lumicino, nascondendo la polvere sotto il tappeto. Quintali di polvere che toccherà al prossimo governo di togliere, quando oltretutto finirà la politica accomodante di Draghi. Insomma, questa è l’eredità di tre governi e tre maggioranze diverse che l’hanno sostenuti pur di restare a galla e gestire il potere. Non è vero che gli italiani stanno meglio, si sentono più sicuri, possono spendere e spandere, sentono amico il fisco, godono dell’efficienza dei servizi e delle banche.

Diciamoci la verità, è vero il contrario e quella virgola di miglioramento che c’è, per come stanno le cose, è un trompe-l’œil. Ecco perché serve una svolta decisiva, politica, culturale, strutturale, serve il coraggio di smontare una volta per tutte quel groviglio pubblico che ci zavorra inesorabilmente. Solo così ripartiremo davvero e potremo dare futuro al Paese, dipenderà da noi e da come voteremo in primavera.

Aggiornato il 15 settembre 2017 alle ore 10:14